Le recensioni di Bruno Elpis
La morte felice di Albert Camus (qlibri)
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- Scritto da Bruno Elpis
L’unico dovere dell’uomo: essere felice
“La morte felice” è la prima opera di Albert Camus, pubblicata postuma, ed è un manufatto che getta le premesse delle opere successive. Si articola in due parti: la prima s’intitola “Morte naturale”, la seconda “Morte cosciente”.
Patrice Mersault abita nella misera camera della madre, morta dopo una lunga malattia. L’ha assistita fino all’ultimo, con lei ha respirato la povertà (“Tutta la sua vita era nella prospettiva ingiallita che gli rimandava quello specchio”), forse non ha saputo accettarne la morte e si è abbandonato a fragili relazioni sentimentali ed estetiche (“Anche il suo desiderio, il gusto profondo di tutta la sua carne nasceva forse da questo stupore iniziale nel possedere un corpo particolarmente bello, poterlo dominare e umiliare”).
Poi Patrice conosce Zagreus, un invalido che, sulla sedia a rotelle, conduce una vita contemplativa che lo porta a ideare per mano del giovane adepto una fine simulata come fosse il suicidio di un uomo stremato dalla menomazione fisico. In cambio Mersault ottiene il denaro che gli consentirà di affrancarsi dalla povertà (“Aveva giocato a voler essere felice. Non lo aveva mai voluto con una volontà cosciente e deliberata. Mai fino al giorno… E da quel momento, a causa di un unico gesto calcolato in completa lucidità, la sua vita era cambiata, e la felicità gli sembrava possibile. Certo, lo aveva partorito nel dolore, questo essere nuovo”), abbandona la sua compagna Marthe, nel desiderio di tornare ad essere pietra e nullificare le contraddizioni esistenziali.
Consumato l’omicidio, Patrice imprime un nuovo corso alla sua vita (“… bisognava affidarsi al tempo, avere tempo era la più magnifica e insieme la più pericolosa delle esperienze”) e intraprende un viaggio alla ricerca della felicità, agevolato dalla prestanza fisica e dalle attenzioni che le donne gli riservano.
Parte per l’Europa – Praga (“il sortilegio maligno delle notti di Praga”), Vienna e Genova – per poi tornare con una ritrovata consapevolezza (“Come ogni opera d’arte, la vita esige che ci si rifletta. Mersault pensava alla sua vita e lasciava vagare la sua coscienza smarrita e la sua volontà di felicità in uno scompartimento che, in quei giorni, attraverso l’Europa, fu per lui come una di quelle celle in cui l’uomo impara a conoscere l’uomo attraverso ciò che lo sovrasta”) ad Algeri: “Allora Mersault si accorse che dopo Vienna non aveva più pensato neppure una volta a Zagreus come all’uomo che aveva ucciso con le sue mani. Si scoprì la facoltà di oblio che hanno solo i bambini, i geni e gli innocenti. Innocente, sconvolto dalla gioia, capì finalmente di essere fatto per la felicità.”
In un primo tempo Patrice convive con tre amiche (“La Casa davanti al Mondo, dicevano loro, non è una casa dove ci si diverte, ma una casa in cui si è felici. Patrice lo percepiva bene quando stavano tutti col viso rivolto verso la sera e si lasciavano penetrare, insieme con l’ultima brezza, dall’umana e pericolosa tentazione di non assomigliare a nulla”) in una fase domestica – ci sono perfino i gatti Gula e Calì (“Le loro piccole fauci da serpente lasciano vedere il rosa del palato, sogni lussureggianti e osceni li attraversano e mettono dei brividi nei loro fianchi”) - che forse è la più riuscita del breve romanzo. Ma poi Patrice si allontana anche da questo angolo di creatività sociale e si stabilisce in una nuova residenza (“Comprare una casetta tra il mare e la montagna, allo Chenoua, a pochi chilometri dalle rovine di Tipasa”), ove s’immerge nel contatto artistico con la natura (“… è più utile a un artista una certa ottusità che le più duttili risorse della chiaroveggenza”). L’irrequieto eroe ha così modo di sperimentare una felicità complessa (“Perché lui aveva fatto la sua parte, aveva compiuto l’unico dovere dell’uomo che è soltanto quello di essere felice”) per poi abbandonarsi alla malattia, all’agonia (“Avrebbe trovato una ragione di morire in ciò che aveva costituito tutta la sua ragione di vivere”) e alla morte felice (“Non si vive felici più o meno a lungo. Lo si è. Punto e basta. E la morte non conta, in questo caso è un incidente della felicità”).
Lo stile di Camus è originale fin da questa opera prima. Le descrizioni sono ricche di atmosfera (“I lampioni facevano luccicare il selciato viscido, e a intervalli regolari i tram accendevano riflessi su capelli lucidi, labbra umide, sorrisi o braccialetti d’argento”), dinamiche (“Il passaggio delle nuvole aveva lasciato come una promessa di pioggia che rendeva la strada più cupa”), trasudano sapori, sprigionano profumi (“Di tanto in tanto passavano dei tram; e sulla loro scia saliva nella stanza a grevi folate l’odore del quartiere, fatto d’anisetta e di carne arrosto”), emettono suoni (“Dall’interno della casa giungevano pianti di bambini picchiati, un miagolio, lo sbattere di una porta”), esprimono angosce (“Il tempo era scuro e, pur non sentendo il vento, Mersault vedeva gli alberi e le foglie che si contorcevano in silenzio nella valletta”) e sensazioni molto personali.
Bruno Elpis
http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:48595/