Le recensioni di Bruno Elpis
Il cappello del maresciallo di Marco Ghizzoni (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Marco Ghizzoni colloca nel cremonese Boscobasso (“Un buco di duemila anime in riva al Po”), un immaginario borgo del quale viene squadernata in prima pagina la cartina topografica, molto utile per seguire i tortuosi percorsi di un manipolo di personaggi che danno vita alla storia denominata “Il cappello del maresciallo”. Un titolo che, in qualche modo, riecheggia “Il cappello del prete”, il romanzo di Emilio De Marchi, pubblicato nel 1888, considerato uno tra i primi veri romanzi polizieschi in lingua italiana.
Il liutaio Antonio Arcari, cardiopatico, viene ritrovato senza vita alla stazione del borgo. Facile pensare a un infarto. Sì, ma che ci faceva alla stazione, di notte frequentata dalle belle di notte (scusate il gioco di parole), il ricco emulo di Stradivari con le braghe calate?
La moglie del liutaio - tal Edwige Dalmasso sempre pronta a esibire un décolleté da far girar la testa ai pretendenti che la incalzano da quando ha acquisito la condizione anagrafica della vedova allegra – non sembra interessata a conoscere la verità sulla morte dell’Arcari, ma non vuole perdere la macabra occasione per ostentare ceto e status sociale anche durante il funerale. Per organizzare la cerimonia estrema, Edwige asseconda il Bigio (“quel becchino segaligno dallo sguardo obliquo”) e intrattiene il carabiniere Nitto Bellomo, che, ammaliato, dimentica a casa della sirena (o maga Circe?) “Il cappello del maresciallo” (“Se ne andò dimenticando il suo cappello sulla poltrona di pelle nera”).
I personaggi sfilano sulle pagine del romanzo tra siparietti e caricature, strappando tanti sorrisi in una storia che oscilla tra la commedia, la sagra (“Se ne andò… con una sporta di mortadella e salame cremonese all’aglio… prosciutto cotto e coppa”) e la satira paesana, in una trama colorata di giallo tenue da situazioni paradossali per via di una salma, prima trafugata, poi decapitata e occultata.
Lo stile narrativo è agile, attinge dalla lingua parlata e si destreggia tra capitoli sempre troncati da rapidi “cliffhanger” (“Il cliffhanger è un espediente narrativo usato in letteratura, nel cinema, nelle serie televisive e in altre forme di fiction, in cui la narrazione si conclude con un’interruzione brusca in corrispondenza di un colpo di scena o di un altro momento culminante caratterizzato da una forte suspense”).
Lettura consigliata, soprattutto a chi ama il genere alla “Andrea Vitali”.
Bruno Elpis