Le recensioni di Bruno Elpis
Presentazione de “Il bacio di Giuda” di Sveva Casati Modignani
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- Scritto da Bruno Elpis
12 settembre 2014, ore 18.30. Presso il gremito spazio “eventi”, al terzo piano di Mondadori Multicenter in piazza del Duomo, il pubblico milanese accoglie con un applauso Sveva Casati Modignani e il suo ultimo romanzo, “Il bacio di Giuda”.
Nell’atmosfera sono palpabili la benevolenza e la simpatia che i milanesi riservano alla loro elegante concittadina, che giunge puntuale accompagnata da una smagliante, biondissima Mara Venier.
Spilla appuntata al petto e lieve vezzo al collo per la scrittrice, occhiali neri per la presentatrice che sfida la legge del calendario, la presentazione prende il via.
“E' la prima volta che presento un libro”, si schermisce la Mara nazionale, “sono abituata ad altro…”
Una gaffe? Per me, che con ribrezzo snobistico diffido di molti programmi televisivi, decisamente sì (“Cominciamo bene”, penso io, piuttosto prevenuto).
E invece no. La presentazione scorre gradevolissima, animata dall’affetto che si riversa sui ricordi – ora ironici, ora commossi – della scrittrice, stimolata dall’esperienza che Mara vanta nell’intrattenimento.
L’evento prevede anche la presenza di Enzo Decaro (“L’attore che fa la parte del marito della Pivetti in Bentornata prof”, spiega Sveva a beneficio degli ignoranti della TV, come il sottoscritto): “? in taxi, sta arrivando, questione di minuti…”
Il tempo di apprendere che Claudia Mori in Celentano intende acquistare i diritti di “Leonie”, il penultimo romanzo della Casati Modignani, e già si entra nel vivo della discussione su “Il bacio di Giuda”:
“? autobiografico, parla del dopoguerra: quello della seconda guerra mondiale, non della prima!”, precisa la scrittrice con autoironia, suscitando l’ilarità degli astanti.
“Rappresenta il seguito de Il diavolo e la rossumata, che raccontava gli anni dal ’40 al ’45…”
I ricordi proseguono incalzanti (“Mancava il cibo, si andava nei campi a raccogliere l’insalata matta e le bocche di leone”) e si alternano al presente. Lo stimolo a proseguire la narrazione autobiografica, estendendola agli anni dal ’46 al ’50 (“Milano era un cumulo di macerie. Erano anni difficili ma bellissimi: la guerra era finita e c’era tanta speranza”), sembra merito dei nipoti: della curiosità di Lapo, dieci anni; dell’interesse di una scolaresca di terza media (“La professoressa di mia nipote mi ha chiesto di fornire una testimonianza di quegli anni. I ragazzi si sono dimostrati assetati di storie di una volta”). Intanto io ripenso alla mia mamma: anche lei mi raccontava di quando – bambina spaventata – scappava dai bombardamenti, inorridiva al passaggio delle “squadre della morte” o sentiva parlare di retate e di esecuzioni di partigiani alla “casa della trebbia”…
Fa il suo ingresso Enzo Decaro (anche lui gli occhiali neri!) e adesso sì, siamo al completo. L’attore si scusa per il lieve ritardo: “Non ci sono più gli aerei di una volta!”.
Mara Venier adesso affronta con Sveva il tema del rapporto conflittuale con la mamma (“Manifestava il suo volermi bene con la severità… mai un bacio o un abbraccio”; “Avrei tanto desiderato dormire in mezzo ai miei genitori. Lei non voleva, e io mi rifacevo con il lettone dei nonni…”), che il romanzo descrive.
Poi si parla dell’episodio di violenza del quale la Modignani è stata testimone all’età di sette anni, perché il dopoguerra fu anche un periodo di esplosione postuma di violenza e di regolamento di conti. “Io tornavo da scuola e mi si fece incontro il Mariulin. Era stato una spia fascista, si era macchiato di atti vili, facendo deportare padri di famiglia… Mi nascosi dietro al sambuco, perché lo temevo. Cadde a terra, fu giustiziato. Vidi un uomo che si allontanava. Mi avvicinai al corpo del Mariulin e capii che era morto. Gli coprii il viso ferito con il mio fazzolettino bianco e corsi a casa…”)
Enzo Decaro legge questo passaggio, poi non osa interrompere la narrazione e quindi prosegue la lettura anche nei paragrafi successivi.
Qualche parola viene spesa anche sulla liberazione degli americani (“La triste Lili Marlen lasciò il posto allo swing e al foxtrot”) e sul clima giubilante che seguì gli anni del terrore (“La Germania era il babau…”).
Con il ricordo della cresima (“L’abito bianco e lungo… i boccoli ottenuti con la prima permanente: una pratica micidiale durante la quale si rischiava di essere fulminati nell’odore dell’ammoniaca”) si sorride e, perché no, le signore più attempate si struggono di nostalgia.
Guardo fuori dalle finestre panoramiche del terzo piano della Mondadori: il vespero settembrino è dolcissimo, le nuvolaglie dal cielo diffondono una luce soffusa sul frontale del Duomo fiammeggiante di marmo, che – visto da lì, in quella luce – è ancor più bello. Nel cuore ( merito di Sveva?) ho rinnovato il ricordo dei racconti di mia mamma.
Bruno Elpis
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