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Le recensioni di Bruno Elpis

La scelta di Sophie di William Styron (qlibri)

Medea del XX secolo 

Anno 1947: una polacca, un ebreo e un “sudista” s’incontrano in un edificio di Brooklyn e intrecciano le rispettive esperienze di odio razziale. “La scelta di Sophie” è un’opera mastodontica (oltre 600 pagine fitte) nella quale William Styron cerca di amalgamare tragedie esistenziali e storiche, sortendo nel lettore un effetto alterno di ripulsione, interesse e orrore.
Nel mio commento fornirò un riassunto per capitoli, concentrando negli ultimi due uno SPOILER giustificato da:
- La notorietà del finale, alla quale ha sicuramente contribuito il film di Pakula che si fregia dell’Oscar a Maryl Streep;
- La mia inclusione di quest’opera nel “percorso Medea”.
Consiglio pertanto a chi non fosse interessato al riassunto della storia e/o allo spoiler di saltare direttamente alla conclusione. 

 

LA STORIA

Stingo è un ventiduenne aspirante scrittore, originario della Virginia, terra di schiavismo che egli rifugge. Lavora alla Mc Grow-Hill come editor e selezionatore, specializzato in stroncature (“Io volevo al di là di ogni speranza e di ogni sogno diventare uno scrittore…”) – cap. 1
Quando viene licenziato, si trasferisce nella casa di Yetta a Brooklyn e lì conosce – durante una violenta lite - Nathan e Sophie (“Vidi così per la prima volta il numero tatuato sulla pelle abbronzata e lentigginosa del suo avambraccio”). Intanto, da buon sudista, eredita dal nonno una somma ricavata dalla vendita di uno schiavo – cap. 2
Nell’occasione di una gita domenicale a Coney Island, si forma lo strano triangolo tra i due amanti e Stingo (“la terribile scenata tra Sophie e Nathan della sera prima avrebbe dovuto farmi capire… Sentivo che c’era qualcosa di stonato, sotto tutta l’allegria…). L’odio razziale affiora spesso nelle discussioni: “Come membro di una razza… ingiustamente perseguitata… dovresti sapere quanto sia imperdonabile condannare tutto un popolo per qualsiasi cosa!” – cap. 3
Sophie comincia a narrare il suo passato e, forse perché si sente in colpa (“Questo forte senso di colpa l’ho ancora”), lo imbastisce di menzogne: “Lei mi raccontava tante cose del suo passato e … io mi preparavo a lasciarmi intrappolare, come una larva, in quell’incredibile ragnatela di emozioni che era il rapporto tra Sophie e Nathan” – cap. 4
Il padre comunica a Stingo che ha ereditato una piantagione di arachidi e lo invita a tornare in Virginia. Costui preferisce restare, con l’ossessione di vincere resistenze e ipocrisie della sessualità degli anni Quaranta – cap. 5
Sophie rievoca il suo passato ad Auschwitz, come privilegiata - stenografa e interprete - nella casa del gerarca Rudolf Hoss (“Auschwitz era un campo di lavoro forzato, mentre Birkenau serviva solo a una cosa, lo sterminio”) – cap. 6


Stingo sferra il suo attacco sessuale all’ebrea Leslie,  ma va praticamente in bianco… per colpa di Freud! – cap. 7
Il rapporto a tre (“habitué del Maple Court”) procede tra tenerezze (poche) e (tanti) scoppi d’ira (“Dice all’improvviso che ha mal di testa, proprio qui, alla nuca”). - cap. 8
Stingo ha modo di approfondire la tragedia delle persecuzioni naziste (“Uno dei punti che non riesco a capire – scrive Steiner - … è il rapporto temporale”: mentre si consuma una tragedia immane, altri trascorrono il tempo in occupazioni lievi e spensierate)  attraverso i racconti di Sophie (“l’idea stessa della soluzione finale era sbocciata dai fecondi cervelli dei taumaturghi nazisti”), ove trapelano alcune bugie. Come quella sul padre… - cap. 9
Sophie rievoca il suo fallito tentativo di seduzione di Hoss (“il flusso di quella bizzarra grammatica nazista”) – cap. 10
I ricordi si fanno incalzanti: Cracovia, il papà ideologo polacco dell’antisemitismo, il tatuaggio (“il macabro tatuaggio blu scuro, la fila di numeri singolarmente precisi, un piccolo recinto di filo spinato di ordinatissime cifre dove il sette era tagliato dal meticoloso trattino europeo”) s’intrecciano al “patto suicida” tra Sophie e Nathan, stipulato  in un week end sotto i fumi del  nembutal e “la minaccia inequivocabile di quella capsula di cianuro”. La tossicodipendenza di Nathan è ormai conclamata (“prendeva una sostanza che si chiamava benzedrina… e anche la cocaina”) – cap. 11
A Varsavia Sophie ha un’amante e una cognata che lavorano nella resistenza. Nei racconti di Sophie, che già aveva rivelato di avere un figlio, Jan, compare per la prima volta Eva, la figlioletta che studia flauto… - cap. 12
Durante la prigionia, Sophie ordisce un inutile piano per rivedere il figlio Jan, recluso nel campo dei bambini. Le cicatrici ai polsi rivelano un fallito tentativo di suicidio nel campo profughi svedese – cap. 13
Nathan ritorna (“Nathan aveva riacquistato quel ruolo di incoraggiante figura fraterna, di mentore, di critico costruttivo…”) dopo l’ennesimo litigio e, ancora una volta, annuncia una sua importante scoperta nella ricerca biologica (“questi momenti di estasi… erano stati quasi sempre un chiarore che rendeva gli occhi ciechi all’imminente catastrofe”): ma Stingo riceve le confidenze del fratello medico, Larry, che rivela la malattia di Stingo. Sophie è ormai dedita all’alcolismo… - cap. 14 

SPOILER: SOPHIE, MEDEA DEL XX SECOLO 

Cap. 15
Sono stata una terribile vigliacca, una sporca collaborazionista , … ho fatto tutto il male possibile per salvarmi”. Durante la terribile selezione (“mandato a sinistra e a Birkenau”) che decide la sorte dei deportati, Sophie viene posta di fronte a un terribile dilemma: “Puoi tenerti uno dei tuoi bambini… L’altro dovrà morire. Quale terrai?”
Paradossalmente, questo è considerato un privilegio concesso dal medico selezionatore: “Sei una polack, non una yid. E questo ti dà un privilegio, una possibilità di scelta”. Sophie veste i panni di tragica Medea contemporanea e, dopo aver opposto resistenza (“Non mi faccia scegliere… non posso”), consuma un crimine morale e fisico, esternando la sua preferenza genitoriale: “Si prenda la piccola!... Si prenda la mia bambina”. E compie “un peccato che non conosceva perdono” 

Cap. 16
Nathan è diventato violento e minaccia Sophie con la pistola. Stingo e Sophie fuggono verso la Virginia. Dopo una notte d’amore, lei scappa per tornare a Brooklyn, verso il suo destino…
Stingo, da sempre innamorato dell’infelice polacca, non se ne fa una ragione (“Non avrebbe mai potuto liberarsi dall’orrore che si era sentita costretta a rivelare”), neppure alla luce delle rivelazioni sull’altro figlio, Jan (“Chiesi a Sophie del suo bambino”), dalla sorte incerta (“i bambini di Lebensborn, subito cambiavano loro il nome, li trasformavano rapidamente in tedeschi…”) 

CONCLUSIONE 

Questo romanzo è una tragedia a tratti efficace e potente, in molti punti complicata dalla continua sovrapposizione di differenti piani temporali e piuttosto alterna nella costruzione: spesso si dilunga inutilmente (“la mia abilità enciclopedica di dilungarmi all’infinito su un argomento”, confessa a un certo punto l’autore), lo stile è ricco, talvolta ridondante; la narrazione indulge alla spettacolarizzazione, insiste negli eccessi tragici, sventra i misfatti vergognosi compiuti dalla follia umana – individuale e collettiva - e si abbandona a descrizioni esplicite di sesso sfrenato. Gli interrogativi esistenziali e storici che l’opera pone sono talmente complessi e arditi da far rabbrividire, come la scelta di affrontare il tema dell’odio razziale nelle sue svariate forme e direzioni, che si diramano dalla terribile equazione tra nazismo tedesco e campi di sterminio… 

Bruno Elpis 

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:44643/