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Le recensioni di Bruno Elpis

“Radiomorte” di Gianluca Morozzi (qlibri)

coverIntervista a Gianluca Morozzi – Una famiglia in cerca d’autore 

Per collazione personale e assonanza soggettiva “Radiomorte” di Gianluca Morozzi (padre-madre-figlio-figlia-intervistatrice. E qui mi fermo!) mi ha evocato i “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello (padre-madre-figlio-figliastra-giovinetto-bambina). 

Nel capolavoro teatrale pirandelliano (1921) assistiamo all’irruzione di personaggi rifiutati dallo scrittore che li ha concepiti: i sei chiedono al Capocomico una vita artistica. E chiedono che lui, il Capocomico, metta in scena il loro dramma. Dopo molte resistenze la compagnia accoglie la richiesta e i personaggi raccontano agli attori la loro storia per consentirne un’adeguata rappresentazione. Ben presto, tra attori e Personaggi si scatena un conflitto.

Perché gli interpreti, pur profondendo impegno, non riescono a rappresentare il dramma reale e i sentimenti dei Personaggi: in sintesi, il dolore della Madre, il rimorso del Padre, la vendetta della Figliastra, la reazione sdegnata del Figlio. Sulla scena trionfa la falsità vacua della finzione. Come dire che esistenza e scena non comunicano, perché la vera vita non può essere riprodotta. Nella scena finale, esplode la tragedia e lo spettatore non comprende se l’exit sia reale o fittizio. 

Anche nell’opera di Gianluca abbiamo un padre (Fabio), una madre-Medea (Patrizia), un figlio (Davide) e una figlia (Giulia), che vengono mostrati in tridimensione psicologica. Come collettivo, essi compongono la famiglia ideale (la famiglia Colla!) con il patriarca al centro: “la bolla armoniosa che sono sua moglie e i suoi figli”.
Nel ruolo del Capocomico troviamo Kristel (“giovane punk dai capelli color fiamma”), l’aggressiva conduttrice radiofonica che ha il compito d’intervistare la famiglia felice (devo resistere sino in fondo alla tentazione di qualificarla mutuando la definizione dal marketing alimentare!) nell’occasione della presentazione del romanzo di successo scritto dal capofamiglia: “La famiglia felice al tempo della crisi”.
Ben presto, quella che doveva essere una banale intervista si trasforma in incubo: la sala di registrazione è una tagliola tagliente e nell’insidiosa trappola (“Siamo in una sala insonorizzata. Che non si può aprire dall’interno…”) Kristel scatena la dinamica crudele della verità, scimmiottando lo schema di un game: “Quando era più giovane, Davide si era appassionato a un gioco di ruolo. Si chiamava Il richiamo di Cthulhu”. Viene ingaggiato “un Trofeo Colla al contrario”: “Sarete voi a decidere chi lasciare indietro. Pensare a chi ha fatto la cosa peggiore. Chi merita la morte.”
Il tempo trascorre secondo ritmi e tempi dell’agonia (“Vi concedo un’ora, a patto che uno di voi racconti a tutti il suo segreto peggiore”) e ciascun familiare narra gli orrori dei quali si è macchiato in passato. Anche Davide, che con la sua ignavia sembra essere il meno colpevole, nel momento cruciale commetterà l’infamia che lo appaia agli altri consanguinei... 

Lo so, il mio accostamento iniziale con i “Sei personaggi” vi lascia scettici. Perché, se come recita il trito luogo comune “la matematica non è un’opinione”, tutti state obiettando: “Ma 4 familiari + 1 capocomico = cinque personaggi… E il sesto, chi sarà mai?”
Tranquilli, Gianluca crea anche il “suo” sesto personaggio: scegliete voi tra giovinetto e bambina… 

“Radiomorte” mi ha riportato “ai tempi” di “Blackout”: per la spietatezza di visioni riprodotte e confessioni urlate, per la crudeltà linguistica, per la velocità con la quale le rarefatte, ciniche pagine si avvicendano a perforare protezioni, scrostare  patine e travolgere mistificazioni. Tuttavia rimango con l’atroce dubbio iniziale: la rappresentazione può davvero interpretare la realtà? O è soltanto l’ennesimo reality show?

Bruno Elpis
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CINQUE DOMANDE A GIANLUCA MOROZZI 

Gianluca Morozzi

D - Cosa pensi del mio accostamento tra “Radiomorte” e i “Sei personaggi in cerca d’autore”?
R - Geniale! Non ci avevo pensato. Amo veder trovare lati nuovi e inaspettati nei miei libri. 

D - Considerato il precedente di “Blackout”, non ti sorge il dubbio di soffrire di claustrofobia? In caso affermativo, quanto – per te - la scrittura dei romanzi è “coming out”, quanto è terapia?
R - Io non soffro affatto di claustrofobia, in realtà, ma di vertigini. Sono piuttosto certo di essere stato gettato giù dalle mura di un castello della Loira, in una vita precedente. Se volessi scrivere un romanzo terapeutico, metterei il mio protagonista al decimo piano in un terrazzo dal parapetto basso… 

D - Nella gratulatoria finale leggiamo che l’ispirazione è venuta dal “portico delle Belle Arti”… Ci spieghi meglio la tua folgorazione?
R - Lo so che sembra una roba da pazzi, ma è vera. Stavo camminando lungo il portico di via Belle Arti… ora, non so quanti archi abbia quel portico (quello di San Luca ne ha 666: demoniaco, vero?). Diciamo che ero all’altezza dell’arco numero 19, che era il numero dei miei romanzi prima di Radiomorte. Ok: ho fatto un passo, pensando ai fatti miei, e all’altezza del ventesimo arco avevo tutto, inizio, sviluppo centrale, finale (esattamente quello che potete leggere ora), e addirittura titolo. Cosa si fa in questi casi? Si ringraziano le muse, poi si va a casa e si scrive il romanzo. 

D - Perché sempre lì, nell’ultima pagina, ringrazi “Chuck Palahniuk, in generale” e non Lovecraft al quale tutti noi pensiamo quando parli del gioco di ruolo “Il richiamo di Cthulhu”?
R - Perché Il richiamo di Cthulhu è un gioco di ruolo al quale non ho mai giocato in vita mia (mentre ho letto molto Lovecraft), mentre quella strana seconda persona apparente che invita a guardare per tutto il romanzo mi faceva tanto Chuck Palahniuk… 

D - Ma non temi che questo romanzo possa offrire l’idea per l’ennesimo, sciagurato reality show?
R - Santo cielo, sarà finita, ormai. l’era dei reality show… non è più il 2004 di Blackout, per fortuna! 

http://www.qlibri.it/recensioni/gialli-narrativa-italiana/discussions/review/id:42366/