Le recensioni di Bruno Elpis
Neve di primavera di Yukio Mishima (qlibri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Quando torna la neve
“Neve di pimavera” di Yukio Mishima è un’opera colossale, un monumento di psicologismo, di abilità descrittiva, uno spaccato di storia e cultura giapponese.
Ovviamente questo commento non potrà che cogliere soltanto alcune delle dimensioni di un poliedro così composito, mutevole nella forma in relazione alla prospettiva dell’osservatore-lettore.
PSICOLOGISMO
L’analisi psicologica è minuziosa: tutti i personaggi sono caratterizzati con profondità. Su tutti, naturalmente, il protagonista, Kiyoaki: un adolescente tanto bello (“Sognatore, di una bellezza inquietante, arrogante e nondimeno in balia delle sue inquietudini, era certo di essere in qualche modo il depositario di un tesoro, di un dono di giovinezza senza eguali quanto capace di sentimenti radicali“) quanto tormentato (“Il suo convincimento di non avere altro scopo nella vita se non quello di distillare veleno, faceva parte dell’ego di questo diciottenne”): nei rapporti con gli amici (“Honda e Kiyoaki… il loro rapporto arrecava a ciascuno né più né meno di quanto desiderasse”), nel relazionarsi ai due principi siamesi suoi ospiti (“il timore di una soverchia occidentalizzazione aveva indotto il re a scegliere il Giappone per i loro studi universitari”), nel contrastato e sublime rapporto d’amore con Satoko.
Per dirla con le parole di Mishima: “Quel giovane così bello, sazio di quell’apatica, annoiata indifferenza”. E con una delle sue metafore: “Kiyoaki era simile a un lago, le cui acque limpidissime lasciassero scorgere nitidamente i ciottoli del fondale, per offuscarsi un istante dopo, agitate da un sommovimento inaspettato”.
ABILITA’ DESCRITTIVE
Le descrizioni naturalistiche esprimono eccitazione sensitiva in un paese magico che è regno di pavoni, glicini, ninfee aceri e giunchi.
La sensualità è racchiusa in un’unica pagina erotica, che in attimo azzera le cinquanta e più sfumature del trash contemporaneo. Così è l’orgasmo: “Nell’istante in cui l’alba e Kiyoaki erano ormai una sola entità, ch’egli di fatto la toccasse o no, tutto all’improvviso ebbe fine”. Così è il languore che segue il piacere (quello che i latini riassumevano nell’aforisma “post coitum omne animal triste est”): “Se ne stavano adagiati l’uno accanto all’altra sul tatami, gli occhi rivolti al soffitto. La pioggia, di nuovo torrenziale, crepitava sul tetto…” Così è il rifiorire della passione: “Era giovane. Il suo desiderio non tardò a riaccendersi…”
E la neve? Che dire della neve?
Impazza nel primo appuntamento ed è fantastica coreografia di una gita in risciò con l’amata (“Satoko era così contenta di quella nevicata che pregava Kiyoaki di non andare a scuola e di accompagnarla a fare una passeggiata in risciò”).
Ritorna a infierire nel finale (i fiocchi “erano inconsistenti persino per quella neve di primavera, ed evocavano semmai uno sciame di insetti estivi”), una tragica ricorrenza (“Un anno esatto era trascorso, ed ebbe una fitta al petto, di emozione e cocente dolore”) che si posa sull’estremo tentativo di rivedere l’amata (“La neve, fluendo, si fondeva vieppiù con quel nuovo chiarore, fino ad assumere l’aspetto di una cenere bianca e sottile, che fluttuava nell’aria”).
STORIA E CULTURA GIAPPONESE
Il romanzo è ambientato nei primi del novecento.
Storia e cultura vengono distillate nei riti (“L’Otachimachi… un rito divinatorio… il 17 agosto, in conformità al calendario lunare”), nell’apprensione per le contaminazioni (“le istruzioni del padre sulle buone maniere occidentali di comportarsi a tavola”), negli intrighi del precettore Iinuma (“Ce ne sono molte altre sulle quali non mi ha edotto per nulla”) e della fedele Tadeshina (“Se lo farai, prometto di fare altrettanto per favorire il tuo idillio. Noi tre possiamo diventare ottimi amici”), nelle tradizioni (“Se la proprietà dei Matsugae andava famosa per lo spettacolo offerto dalle foglie degli aceri, la fioritura dei ciliegi era del pari motivo di grande ammirazione”) e nelle feste (“la festa delle bambole in marzo, la fioritura dei ciliegi in aprile e la grande festa shinto in maggio”). Nella sotterranea critica all’esteriorità (“Nessuno si curava dell’anima di Satoko: soltanto i suoi capelli costituivano un fattore di portata nazionale”) di un universo (“Una nobiltà esteriore, vuota e senza senso: ecco tutto ciò che di me sopravvive”) prigioniero di liturgie (“il cerimoniale per la lettura imperiale di poesia”). Attraverso i riferimenti alle religioni, alle teorie (come la trasmigrazione delle anime) e alle filosofie orientali (la coscienza cosmica).
LO STILE
Ammesso che lo si possa cogliere appieno nella traduzione italiana dall’originale, lo stile incanta per le immagini (“Un attimo le era bastato per trasformarsi da vecchia decrepita in un leopardo che si avventi sulla preda”), per le similitudini (“Nulla poteva escludere che una rondine in volo nel cielo senza nubi fosse messaggera di un improvviso uragano”), per gli accostamenti (“Chi affida una lanterna votiva alla marea serale, in piedi sulla sponda, ne vede la luce affievolirsi sulla superficie delle acque avvolta nelle tenebre, e prega affinché la sua offerta, spingendosi quanto più lontano, rechi il massimo suffragio ai defunti”).
Però attenzione: “Neve di primavera” è opera che richiede tempo, concentrazione, impegno, dedizione, tenacia, capacità di penetrare la scorza di una cultura così lontana da apparirci aliena. E, per rubare la conclusione a Mishima: “Lo scarabeo gli si avvicinava, procedeva col suo corpo cangiante… il valore della corazza protettiva dei propri sentimenti”.
Bruno Elpis
http://www.qlibri.it/narrativa-straniera/romanzi/neve-di-primavera/