Le recensioni di Bruno Elpis
Tropico del cancro di Henry Miller (qlibri)
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- Scritto da Bruno Elpis
CINQUANTA SFUMATURE DI MILLER…
Il libro scandalo di Arthur Miller, pubblicato nel 1934, è un’autobiografia che coglie l’intemperante autore nella sua stagione parigina (“È l’autunno del mio secondo anno a Parigi”), dedito a una vita trascorsa sopra le righe tra sfrenatezze ed eccessi sessuali e alcolici. Una versione riveduta e corretta dell’ottocentesco stile bohémien (“Non ho soldi, né risorse, né speranza. Sono l’uomo più felice del mondo”), a concretizzare una poetica (“Una sola cosa mi interessa, ora, e ha per me un’importanza vitale: registrare tutto quello che nei libri è omesso”) che vorrebbe essere innovativa per il XX secolo (“Il secolo vuole violenza, ma abbiamo soltanto esplosioni mancate”) nelle ansie di un decennio proteso tra crisi economica ed esplosione del secondo conflitto mondiale.
… E CINQUANTA SFUMATURE DI PARIGI
Non soltanto sullo sfondo, Parigi invade l’artista con i suoi monumenti (“Alberi scarni, nudi, matematicamente fissi nei loro graticci di ferro; la tetraggine degli Invalides che scaturisce dalla cupola e inonda le strade buie adiacenti alla piazza”), con i templi della mondanità (“Vedo la platea vuota delle Folies Bergère e in ogni crepa ci sono scarafaggi, pidocchi e cimici; vedo gente che si gratta frenetica…”), con lo spirito di pittori (“A sera, di tanto in tanto, sfiorando i muri del cimitero, inciampo nelle fantomatiche odalische di Matisse legate agli alberi…”) e poeti (“A pochi palmi, ma distante incalcolabili ere temporali, giace lo spettro prono di Baudelaire, avvolto in bende come una mummia…”): una realtà metropolitana pervasiva (“Ci vorrebbe una vita a esplorarla di nuovo. Questa Parigi, di cui io solo avevo la chiave, non si presta a un giro, nemmeno con le migliori intenzioni; è una Parigi che bisogna vivere, che bisogna provare giorno per giorno in mille diverse forme di tortura, una Parigi che ti cresce dentro come un cancro, e cresce e cresce finché non ti ha divorato”) che viene descritta come incubo (“A ogni stazione della metropolitana ci son teschi ghignanti… Ovunque siano muri, là sono lucidi tossici granchi che annunziano l’avvicinarsi del cancro. Dovunque tu vada, qualunque cosa tu tocchi, è cancro e sifilide. Sta scritto in cielo: fiammeggia e danza come un malaugurio. Ha roso le anime nostre e noi non siamo altro che una cosa morta, come la luna”) in analogia a quanto avviene in molta arte figurativa dell’epoca.
Il romanzo è un capolavoro creativo nell’espressione della concezione artistica (“Fino a oggi… ho avuto idea di abbandonare la base aurea in letteratura, La mia idea, in breve, è di offrire una resurrezione dei sentimenti, di raffigurare la condotta di un essere umano nella stratosfera delle idee, cioè in un accesso di delirio”) e in alcune intuizioni estetiche, come ben illustrato da un prefatore d’eccezione: George Orwell che scrive l’introduzione all’opera intitolandola “Nel ventre della balena”.
L’opera mi ha respinto per le concezioni maschiliste (“L’importante è non prendere lo scolo”), materialiste (“Ci son da qualche parte i quindici franchi di cui a nessuno importa un accidente e che nessuno alla fine avrà, ma i quindici franchi son come la causa prima delle cose…”) e nichiliste (“Tutto questo mistero del sesso, e poi ti accorgi che è nulla, un vuoto e basta”) di un sesso praticato senza trasporto sentimentale (“Né lui né io abbiamo un briciolo di passione”) tra i postriboli e sotto l’incubo del mal francese.
Bruno Elpis
http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:39110/