Le recensioni di Bruno Elpis
Il diritto di morire – Dacia Maraini dialoga con Claudio Volpe (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Attraverso un dialogo con Claudio Volpe, Dacia Maraini esplora presupposti, criticità e implicazioni de Il diritto di morire (“Vivere è diverso da sopravvivere”).
Si parte dal concetto del morire (“Ora so che si tratta di un passaggio molto impegnativo”), in una concezione quasi epicurea della morte (“La persona che muore soffre nel transitare da una situazione conosciuta a cui era abituata a un nuovo stato arioso e tranquillo ma sconosciuto e incomprensibile”).
Segue poi la constatazione che l’evoluzione e i progressi nelle tecnologie hanno ampliato l’orizzonte fisiologico della vita (“Ora sono capaci di tenere in vita i morti pompando un cuore insensibile, facendo circolare artificialmente il sangue nelle vene anche quando il cervello non risponde più a nessuno stimolo”), il che non necessariamente garantisce la vita, come dimostrato da alcuni casi-emblema (“Completamente paralizzati Welby e dj Fabo, in uno stato di coma irreversibile la Englaro”) nella discussione su Il diritto di morire.
Ancorata a principi fieramente laici (“C’è una contraddizione logica in chi sostiene le ragioni ideologiche e religiose della vita a tutti i costi e l’idea che è Dio a decidere quando un uomo deve vivere o morire: se deleghiamo a una macchina la sopravvivenza di un uomo, dove sta la volontà di Dio?”), Dacia Maraini passa in rassegna diverse situazioni: il suicidio assistito (“Lucio Magri era una persona sana e lucida che aveva deciso di morire… C’è qualcosa di eroico nel suicidio. E certamente anche qualcosa di autopunitivo e di violento, come la resa a un’incapacità di dare e amare”), la sedazione profonda (“Marina… ricorrere alla sedazione profonda, una pratica palliativa cui ci si può sottoporre anche da casa e che è cosa diversa dall’eutanasia”), sino ad esprimere il proprio giudizio sulla recente evoluzione della normativa italiana (“Testamento biologico… nel più ampio discorso relativo all’eutanasia passiva e al rifiuto di cure salvavita, lasciando però priva di adeguata disciplina la possibilità di un’eutanasia attiva, che più interessa quanti siano affetti non da patologie terminali ma da stati vegetativi e di completa paralisi corporea, i quali per porre fine alla propria esistenza necessitano di un intervento attivo da parte di terzi”).
Bruno Elpis