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Le recensioni di Bruno Elpis

La lunga strada di sabbia di Pier Paolo Pasolini (i-libri)

coverNella nuova edizione Guanda con brani omessi nella prima versione pubblicata (in testo rientrato) e con l’introduzione di Paolo Mauri, La lunga strada di sabbia può essere percorsa anche attraverso il filtro dei ricordi personali: un modo egoriferito per viaggiare un’altra volta nei luoghi di questo straordinario itinerario geo-letterario che, nell’anno 1959, vede in Pier Paolo Pasolini  – è non è né iperbole né reiterazione – un eccezionale inviato speciale (“Solo, con la mia millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia”). 

Così Rapallo (Viene la sera: le orchestrine suonano nei bar, davanti a eserciti di sedie: tutto il liberty si illumina del fuoco sacro di notti estive che non hanno avuto nessun Proust, e comincia l’ossesso passeggio sotto le palmette del lungomare. Sul tardi… arriva una banda di teddy-boys) e la Versilia (Cinquale – I monti della Versilia… ridenti o foschi? Ecco una cosa che non si può mai capire. Un poco folli, di froma, e inchiostrati sempre con tinte da fine del mondo, con quei rosa, quelle vampate secche del marmo che trapelano come per caso… Qui ci fu D’Annunzio. Qui tra il ’20 e il ’30 Huxley scrisse Foglie secche, e Thomas Mann – che faceva fare il bagno nudi ai figlioletti scandalizzando gli italiani – scrisse, indignato, Mario e il mago”) ritornano nei ricordi di vacanze dell’età infantile. 

Così Capri, che vidi nella fioritura primaverile, si identifica nella medesima impressione che in me suscitò la grotta azzurra (“La grotta azzurra – che credevo di poter raggiungere a piedi… Prendere una barca è molto complicato, perché c’è tutto un sistema camorristico, di gerarchie… Nella Grotta Azzurra si entra per un buco stretto, per cui è necessario distendersi sulla poppa, per non sbattere la testa contro la roccia. Dentro, è insieme una delusione e una scoperta: niente è mai bello come lo si aspetta, e tutto è più bello di quello che si aspetta… si ha l’impressione di galleggiare su una lastra di luce, più alta del livello del mare esterno, sospesa, e illuminata dal di sotto da fari di un chiarore duro, glauco, di mercurio”). 

E Taranto, (“Che brilla sui due mari come un gigantesco diamante in frantumi… Viverci, è come vivere nell’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, taranto vecchia, intorno i due mari, e i lungomari”) anche lei incalza e nella mia mente di recluta accoglie – aliena, straniera e misteriosa soprattutto in quella medina che è la parte vecchia della città del mare piccolo e del mare grande – stuoli di marinai e frotte di avieri di leva in libera uscita. 

Parimenti Santa Maria di Leuca, che mi ha incantato nella recente epoca ove imperano la moda e la smania del Salento (“A destra lo Ionio, tremendo, nemico, preumano, a sinistra il caro, dolce, domestico Adriatico”). 

Allo stesso modo torna la riviera romagnola di estati adolescenziali (“A Riccione, andavo in villeggiatura quand’ero ginnasiale… Allora, quando, con intima gioia, il gelato lo prendevo tutti i giorni, tutto era più assoluto e più eterno. Le giornate erano lunghissime, delle entità dorate di vero valore e di vera durata: il periodo delle vacanze era un periodo della vita… A Riccione ho avuto la mia prima avventuretta… lei era un’allieva ballerina…”) ricche di suggestioni, paure, promosse e incognite. 

E prende forma di desiderio e nostalgia la zona lagunare verso Chioggia, con le sue ambientazioni malinconiche e irripetibili (“Qui, intorno al delta del Po, l’uomo pare aver vinto: ma è una vittoria precaria, stentata, la sua. La palude, imprigionata, repressa, traspare in ogni luogo, diffonde nell’aria la sua profonda, vergine, selvaggia, nordica malinconia”). 

Per finire nella zona dei miei vent’anni (Da Venezia a Trieste – Caorle esisteva… Perduta oltre le bonifiche senza ponti, canali e lagune, nessuno la conosceva… e fuori, sulle calli, stupende, bronzee ragazze con lunghi orecchini, accomodavano le reti o facevano collane di coralli… Grado è a due passi, appena oltre Aquileia, oltre il nuovo sottile ponte, piatto tra le piatte isole, la piatta acqua lagunare. Il grigio-azzurro del suo cielo e il verde dei suoi alberi friulani, il vermiglio e il cobalto attutiti del suo porticciolo, e l’oro dei capelli della sua gioventù, ne fanno un luogo dell’anima”) in una tensione di confine e di limite (“Ed ecco Lazzaretto, l’ultima spiaggia italiana. È incredibile: qui l’Italia ha un ultimo guizzo, è Italia come da centinaia di chilometri non la vedevo”) che è provocazione e invoca il superamento, mentre in Pasolini la fine del viaggio assume i toni lirici del ritorno alle origini… 

Bruno Elpis 

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Bruno Elpis

 

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