Le recensioni di Bruno Elpis
L’addio di Antonio Moresco (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Con il suo nuovo romanzo Antonio Moresco sembra dare “L’addio” al registro delle sue precedenti opere.
La storia è surreale, vorrebbe – credo – affrontare il difficile tema del male (inteso anche come morte) nel mondo e, per fare questo, viene scelto un genere ibrido tra metafisica e horror.
La città della morte e la città della vita sono un continuum pressoché indifferenziato, un binomio di vasi comunicanti percorribili in modo bidirezionale, senza che ben si sappia quale dei due mondi sia l’antecedente dell’altro.
Narrativamente si parte dalla città dei morti per il tramite di un poliziotto defunto, D’Arco, il protagonista che si carica di un’improba missione: stabilire perché “i bambini della città dei morti si sono messi improvvisamente a cantare”.
Con il suo aspetto da zombie (“Ho gli occhi bianchi. L’iride e la pupilla non si distinguono quasi dalla cornea”), assistito e guidato da un bimbo muto (“Aveva il piccolo cranio rasato, gli occhi spalancati, i denti serrati. Gli circondava il collo una cicatrice che sembrava prodotta da una collana di filo spinato”) che si esprime tracciando scritte (“Io ti porterò là”), D’Arco – in veste di castigamatti - si sposta nella città dei vivi (“Cantano ogni volta che viene ucciso un bambino nella città dei vivi”) e trascorre tre nottate in spedizione punitiva, con epilogo violento nella reggia della luce, che sembra essere il covo del male (“Tutti i tormentatori, i profanatori e i massacratori di bambini si sono dati appuntamento qui, in questa reggia…”).
Tra descrizioni suburbane (“Torri ancora in costruzione da cui spuntavano armature nude di ferro”), atmosfere spettrali e personaggi per lo più senza nome (“Quella”, “il bambino”, “lo Sparviero), con stile cronachistico al limite dell’elencazione nuda e cruda degli atti (“Ho guardato le armi… ho messo le pistole nelle due tasche del giubbotto e ho chiuso le cerniere, ho fissato il coltello…”), diffondendo angoscia (ma anche un po’ di noia) sul lettore, Antonio Moresco declina la sua poetica in polemica con i romanzi d’intrattenimento (“Libri che parlano di queste cose per divertirvi e per intrattenervi, per catturarvi in una rete di complicità…”), sotto i colpi dei dubbi filosofici (“Io credevo che si potesse andare solo dalla vita alla morte e non dalla morte alla vita!”) e dei postulati esistenziali (“Perché la città dei morti viene prima, perché la morte viene prima”).
Un vero peccato per un autore che aveva regalato romanzi interessanti (La lucina), prima di cimentarsi in questo ardito e ardimentoso salto nel vuoto filosofico che il male spalanca.
Bruno Elpis