Le recensioni di Bruno Elpis
Accabadora di Michela Murgia (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Maria Listru è figlia adottiva (“fill’e anima”) di Tzia Bonaria Urrai, l’Accabadora di Michela Murgia.
Rifiutata dalla madre naturale (“Non l’avessi avuta mai, che lo sa il cielo se tre mi sono sufficienti nella mia condizione…”) con una sorta di “aborto retroattivo”, viene accolta nella casa dell’anziana donna che conduce una doppia vita: artigiana durante il giorno (“Per qualche tempo Maria pensò che Tzia Bonaria facesse la sarta”), di notte misteriosa interprete di un ruolo (“La prima volta che Maria si accorse che Tzia Bonaria usciva di notte aveva otto anni”) che la vita, una delusione amorosa (“Quelle parole … le aveva già sentite molti anni prima, quando… c’erano ancora un bosco e una gioventù da investire in promesse”) e le regole non scritte del villaggio sardo di Soreni le hanno assegnato.
Nell’occasione della morte di Nicola Bastìu, rimasto storpio durante una faida causata da un litigio sui confini dei poderi, Maria scopre il segreto e la storia (“In quella prima e amara scuola di fatto, la figlia di Taniei Urrai apprese la legge non scritta per cui sono maledettte solo la morte e la nascita consumate in solitudine…”) che soltanto lei ignorava, ha una reazione di rifiuto e fugge a Torino per assumere il ruolo di bambinaia dell’enigmatico Piergiorgio e della viziata Anna Gloria in una casa borghese che non esiterà ad abbandonare quando dall’isola giungono notizie sulla salute della vecchia Tzia Bonaria.
Durante la lunga agonia dell’accabadora, Maria avrà modo di riconsiderare il suo giudizio (“Il dubbio di non essere capace di distinguere tra la pietà e il delitto”) sul ruolo svolto da Tzia Bonaria (“Credi davvero che il mio compito sia ammazzare chi non ha il coraggio di affrontare le difficoltà?”), incontrando nuovamente l’amico d’infanzia Andrea Bastìu.
Il romanzo è potente per il tema ad alto contenuto emotivo, per le descrizioni delle atmosfere luttuose (“Gli uomini attendevano fuori che l’ostensione del dolore cessasse di essere rappresentata”) e per la rappresentazione viva della mentalità (“No, Maria, il lutto non serve a quello. Il dolore è nudo, e il nero serve a coprirlo, non a farlo vedere”), del tessuto sociale e dello spirito collettivo della Sardegna rurale degli anni cinquanta.
Bruno Elpis