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Le recensioni di Bruno Elpis

Senso di Camillo Boito (qlibri)

Ero gelosa fino alla pazzia 

Senso” diCamillo Boito ha per protagonista Livia, una giovane avvenente che sposa per interesse un uomo molto più anziano (“Per mio marito, che avrebbe potuto essere mio nonno, sentivo un’indifferenza mista di pietà e di disprezzo”).

Durante il viaggio di nozze a Venezia (“… Avevo di poco varcato i ventidue anni, a Venezia. Era il luglio dell’anno 1865. Maritata da pochi giorni, facevo il mio viaggio di nozze”), Livia s’incapriccia di Remigio (“Era veramente bellissimo e straordinariamente vigoroso: un misto di Adone e di Alcide”), ufficiale  (“Questo tenente di linea… aveva solo ventiquattro anni…”) tanto affascinante (“Il corpo muscoloso, stretto nella divisa bianca dell’ufficiale austriaco, s’indovinava tutto e rammentava le statue romane dei gladiatori”) quanto dissoluto (“Due sole volte e per un solo istante l’avrei bramato diverso”), vile (“Non so nuotare”) e profittatore (“Remigio ogni tanto mi domandava denaro”).
Livia è disposta a tutto (“Mi piaceva in quell’uomo la stessa viltà”) pur di assecondare la propria infatuazione: inganna il marito (“Una sera tolsi dal dito un anello, dono di mio marito, dove splendeva un grosso diamante, e lo gettai lontano nella laguna: mi parve di aver sposato il mare”), fornisce all’amante i mezzi per corrompere i medici militari (“No. Duemilacinquecento fiorini”) e sottrarsi agli obblighi della divisa (“Mi piangeva il cuore. Il diadema specialmente mi stava tanto bene”), lo raggiunge a Verona (“Una mattina calda… le prime notizie di una battaglia orribile: l’Austria era disfatta… Verona ancora nostra”) da Trento, contravvenendo al principio che in amore è meglio non far sorprese (“Volevo fargli un’improvvisata”)…
Scoperto il tradimento di Remigio (“Un lungo canapé verde su cui Remigio, sdraiato…”), Livia non ha esitazioni: ferita  (“Nessuna donna mi può parere più bella di te”) nell’orgoglio e nella vanità  (“Un pensiero bieco… il pensiero della vendetta”) realizza la propria vendetta  (“Mi feci condurre nella mia carrozza al Comando della fortezza”) dissimulandola con la fedeltà  (“Generale vengo a compiere un dovere di suddita fedele”) della filoaustriaca (“La delazione è un’infamia”). 

La nobildonna narra la vicenda a distanza di tempo (“Trentanove anni! Tremo nello scrivere questa orribile cifra”), ma – nonostante gli anni trascorsi - si dimostra ancora volubile (“L’avvocatino Gino prende moglie”) e viziata, troppo abituata ad appagare il proprio ego  (“Livia, sei un angelo”). 

Anche per lo stile anticato, questo melodramma ha il potere di trasportarci sull’ottovolante degli ardori e delle bassezze di un amore impulsivo, che per sua natura si candida a essere rappresentato in modo scenografico come vistoso paradosso della passione. 

Bruno Elpis 

http://www.qlibri.it/recensioni/classici-narrativa-italiana/discussions/review/id:50564/