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Le recensioni di Bruno Elpis

Memorie di una geisha di Arthur Golden (qlibri)

Perché non riuscivo a smettere di pensare al Presidente? 

Le “Memorie di una geishadi Arthur Golden  introducono il lettore occidentale in una cultura tanto lontana – perfino negli aspetti culinari! (“Il suo spuntino preferito, fatto con il riso avanzato e prugne acide sott’aceto, il tutto inzuppato di tè bollente”) - quanto affascinante. Il tutto è celebrato al ritmo di una storia inventata di sana pianta, perfino nei riferimenti personali (come nel caso dell’artista Uchida Kosaburo: “Il famoso disegno a inchiostro… giovane donna in kimono ferma in posizione estatica e con gli occhi che le sfavillano”). 

 

Questo commento si sofferma sulla seconda parte del romanzo: nella prima, la narrazione indugia sui meccanismi  e sulle fasi iniziali di una professione (uno scienziato arrivò ad affermare che “La più sgargiante fra le scimmie antropomorfe è l’apprendista geisha di Gion!”) quasi sempre imposta e forse brutalmente calata nella vita di una bambina (“A quei tempi mi chiamavo Chiyo”) sottoposta a quelle che a noi sembrano coercizioni (“Eravamo costrette a rafforzare le nostre mani tenendole a bagno nell’acqua gelata finché non piangevamo dal dolore”) belle e buone. 

Dopo un’infanzia infelice, Chiyo viene finalmente scelta come protetta da Mameha (“Da quel momento non fui più chiamata Chiyo. Ero diventata la novizia Sayuri”), l’importante geisha che la guida nella sua riscossa contro l’invidia e le cattiverie di Hatsumomo. In particolare a Mameha spetta l’educazione sessuale della “sorella minore”, che – nella migliore delle tradizioni orientali – viene condotta per simboli. “Sai cosa s’intende per l’anguilla vagabonda?... L’anguilla vagabonda passa la sua intera vita a cercare una casa; e che cosa credi che abbia una donna dentro di sé? Una cavità dove all’anguilla piace stare… quando hanno deciso che è confortevole, marcano il loro territorio… sputando”. 

Mameha gestisce con astuzia l’asta che viene ingaggiata per le grazie di Sayuri (“Il mizuage, la prima volta in cui la cavità di una donna viene esplorata dall’anguilla di un uomo”): tra un medico, il Dottor Granchio, e Nobu, il direttore generale della Iwamaura Electric, da sempre innamorato ma rifiutato per il suo aspetto ripugnante (“Quando un’apprendista geisha è pronta al mizuage, presenta una scatola contenente uno di questi ekubo – un dolce di riso - a uno degli uomini che si sono intrattenuti con lei”), la spunta il primo. “Alla fine il Dottor Granchio acconsentì a pagare 11.500 yen” (quattro yen era la tariffa oraria di un geisha, 1500 yen il costo di un buon kimono). La perdita della verginità a quindici anni, nel 1935, viene vissuta con senso di estraneità di un atto che assomiglia più a un’operazione chirurgica che a una notte d’amore.
Sayuri, dal canto suo, è passata indenne (“Il barone ti ha spogliata?....Ti ha spogliata e ti ha guardato nello specchio. Ma non ha goduto con te… Allora va tutto bene”) attraverso le insidie (“Lo seguii in una saletta, sentendomi come un aquilone tirato da una corda”) tese dal barone nella sua fastosa proprietà (“Cigni neri scivolavano nello stagno con un portamento così fiero che mi fecero vergognare di appartenere a una specie tanto sgraziata come quella umana”). Così Sayuri diviene la geisha più importante del suo okiya e tra le più importanti di Kyoto, scalzando la perfida Hatsumomo dal suo ruolo. In particolare, viene adottata come figlia dalla Madre, che la preferisce alla coetanea Zucca, e recita un ruolo da solista (“Il sole mattutino sulle onde… parlava di una fanciulla che di mattina va a fare il bagno nell’oceano e si innamora di un delfino fatato”) nelle “Danze dell’antica capitale”. 

Nel 1938, con la maggiore età, Sayuri si trasforma “da apprendista a vera  e propria geisha… Chiamiamo questo passaggio «cambio del colletto».
Giunge il momento di scegliere “il danna”, il facoltoso protettore (“Una geisha che speri di essere capita dal suo danna è come un topolino che si aspetti simpatia da un serpente”): ancora una volta Sayuri preferisce un altro uomo, il generale Tottori, a Nobu, con il quale in luogo dell’amore avrebbe potuto sperimentare “un en… un legame karmico che dura una vita”. 

Il romanzo, scritto da un americano (“Un uomo ha un’unica cosa in testa”), vive perennemente il confronto con la civiltà occidentale (“A New York… la donna sta pensando: «Mio Dio… mi trovo con una prostituta…» … È una mantenuta, proprio come lo ero io…”) e non rinuncia alla dimensione fiabesca (“Suvvia, Sayuri, Che cosa credevi che fosse la vita di una geisha? Una storia d’amore?”) che – nella migliore tradizione occidentale – significa trionfo del bene sul male (rappresentato dalla malvagia Hatsumomo) e coronamento di un sogno d’amore (“Perché non riuscivo a smettere di pensare al Presidente?”).
Il romanzo aspira anche a costituire un’analisi storico-evolutiva che viene descritta, nella parte finale, con la chiusura del quartiere delle geishe in tempo di guerra, la successiva fase dell’occupazione americana e gli ultimi bagliori di una civiltà costretta a trapiantarsi negli Stati Uniti, adattandosi al luogo per conservare qualche sprazzo di sogno. 

Bruno Elpis 

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:50521/