Le recensioni di Bruno Elpis
Stoner di John Williams (qlibri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Aprì il libro e il libro smise di essere il suo
“Stoner” di John Williams è un protagonista davvero originale. Nella pluralità dei romanzi dominati da eroi eccezionali e superdotati, nei quali gli scrittori trasfondono il proprio egocentrismo e le ansie d’immedesimazione di un pubblico sovrano nel decretare un sempre più difficile successo commerciale, Stoner costituisce un’autentica rarità e si lascia apprezzare per il piglio recessivo e per l’atteggiamento di sopportazione stoica con il quale affronta le scelte, la lotta per la sopravvivenza, le delusioni, gli insuccessi e le difficoltà che per lo più costellano l’esistenza della moltitudine non appartenente alla categoria del superuomo.
John Williams designa il suo personaggio con il solo cognome, Stoner, e grazie a questa operazione ottiene nel lettore (che pronuncia Stoner, ma pensa a Bill, tetragono compagno di disavventure) la reazione opposta, non già per la terza legge della dinamica, ma per il fatto che chi legge si affeziona e si commuove per il docente universitario: non un genio, ma un ottimo e serio mestierante, che conserva il proprio spirito critico nelle turbolenze della vita e accetta che gli eventi s’inanellino in sequenza moderatamente e complessivamente tragica (“Arrivato a quarantadue anni, William Stoner non vedeva nulla di emozionante nel proprio futuro. Del suo passato, poco gli interessava ricordare”) sull’asse instabile dell’esistenza (“Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta”). Così si avvicendano la scelta dell’università e della professione accademica senz’ansia di carriera, il matrimonio infelice (“Erano entrambi illibati e consapevoli della loro inesperienza… Come per molti altri, la loro luna di miele fu un fallimento”) con Edith (“Edith accolse Stoner come fosse un estraneo e poi si allontanò con noncuranza…”), una povera nevrastenica che sul marito inizialmente innamorato atrocemente riversa volubilità e frustrazioni (“Quell’autunno… Edith sferrò l’ultimo attacco contro suo marito…”), i compromessi familiari (“Alla fine Stoner accettò il prestito”), il fallimentare rapporto con la figlia Grace (“Ho un bisogno disperato di bere”) strangolata da una madre debordante, una tardiva relazione extra-coniugale (“A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra”), i meschini giochi di potere che nell’ateneo come in qualsiasi ambiente lavorativo spesso costituiscono i principali meccanismi di funzionamento.
Con stile calibrato, aggraziato, lucido e appropriato alla vicenda (“Sembrava in grado, a piacimento, di rimuovere la sua coscienza dal corpo che la conteneva e di osservarsi dall’esterno come un estraneo che ripeteva i gesti di sempre in modo stranamente familiare”), John Williams dà adeguato risalto alla determinazione tollerante, dignitosa, a tratti stranita ed estraniante di un uomo che fa della sconfitta il proprio vessillo (“Ciò che sentiva era il peso di una tragedia collettiva, di un orrore e di un dolore così diffusi che le tragedie private e le vicissitudini personale venivano trasferite su un altro piano esistenziale…”) e che, anche in punto di morte, riesce a mantenere il suo distacco tollerante e filosofico (“Non riusciva a interessarsi più di tanto”), intravedendo nella cultura il senso – l’unico? - della continuità esistenziale che giustifica il misterioso procedere del mondo: “Aprì il libro, e mentre lo faceva, il libro smise di essere il suo”.
Bruno Elpis
http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:50198/