Le recensioni di Bruno Elpis
Il rinoceronte di Eugène Ionesco (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
“Il rinoceronte” è un’opera in tre atti nella quale Eugène Ionesco si avvale della commedia dell’assurdo per rappresentare il dramma del conformismo.
Il primo atto si svolge in una piazza, la domenica mattina. Qui s’incontrano i due amici Jean e Berenger: quest’ultimo si caratterizza per un malessere di fondo (“Io non mi ci adatto. Proprio non mi ci adatto alla vita”) che lo induce a bere. I dialoghi tra i personaggi nella piazza vengono animati dal duplice passaggio di un rinoceronte. Un fatto insolito e inspiegabile (“Perché in questa città non abbiamo più lo zoo da quando gli animali sono stati decimati dalla peste… Ma di che circo parla?”), che viene comunque ritenuto complessivamente plausibile al punto che i discorsi proseguono indisturbati (il filosofo, ad esempio, continua i suoi ragionamenti: “Altro sillogismo. I gatti sono mortali. Ma anche Socrate è mortale. Dunque Socrate è un gatto”). Almeno fino al secondo passaggio del pachiderma (“Era già passato poco fa davanti al mio negozio! Ma questo è un altro!”), quando gli attori cominciano a chiedersi se il rinoceronte è uno o se vi siano due bestie (“…rinoceronti con un corno, o due corni, asiatici o africani?”) in circolazione…
L’atto secondo si svolge in due scene: la prima nell’ufficio di Berenger, la seconda nell’appartamento di Jean. In ufficio si discute del fatto strano (“Precisamente: un mito! Come la storia dei dischi volanti!”) e si tentano razionalizzazioni (“Un fenomeno di psicosi collettiva”) fino a una tragica scoperta (“E’ mio marito! Boeuf, povero mio Boeuf, che cosa ti è successo?”). Intanto gli avvistamenti si moltiplicano (“Sono segnalati in molti posti: stamattina ce n’erano sette, ora ce ne sono diciassette”).
Ma è nell’appartamento di Jean che la metamorfosi va in diretta attraverso sintomi (“Ecco, è la fronte qui, che mi fa male”) inequivocabili (“Un bernoccolo?”) e inquietanti (“Che diavolo le importa della mia pelle? Mi occupo della sua, io?”).
L’atto terzo si svolge nella camera di Berenger: questi, avendo assistito alla trasformazione di Jean, è in preda all’angoscia (“Ho… ho paura di diventare un altro”) e dichiara il proprio amore a Daisy, sperando di trovare nel sentimento la forza per contrastare l’epidemia in atto (“E allora perché se la prende tanto per qualche caso di rinocerontite? Magari è una malattia… Resta l’ipotesi dell’epidemia. Sarà come l’influenza. Le epidemie non sono una novità.”)
La metamorfosi (“Be’ almeno questo dimostra che la metamorfosi è sincera… sono sicuro che si tratta di una metamorfosi volontaria…”) è un espediente vistoso e scenografico per rappresentare tematiche sociali (“E chi ti dice che non siamo noi che abbiamo bisogno di essere salvati? Forse gli anormali siamo proprio noi!”) e concettuali (“Non esiste una ragione assoluta. La ragione è sempre della maggioranza, noi non contiamo niente!”) attraverso un incubo paradossale (“E queste metamorfosi saranno reversibili?”) e portato alle estreme conseguenze.
Bruno Elpis