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Le recensioni di Bruno Elpis

Un cuore pensante di Susanna Tamaro (i-libri)

coverSusanna Tamaro affida a “Un cuore pensante” il difficile compito di ispirare la scrittura di un’opera autobiografica nella quale ripercorrere il cammino sofferto e difficile verso la spiritualità. 

Nella prima parte (Tentativi di volo) la scrittrice ripercorre l’infanzia caratterizzata da un temperamento orgoglioso (“Tentavo di trasformare la tigre dentro di me in un gatto di pezza”), poco identificata nel cliché della brava bambina, con spiccata propensione per l’avversione al genere (“Fino all’ingresso alla scuola elementare, ho sempre usato per me stessa, invece del mio nome, uno maschile”) e agli schematismi comportamentali (“Che felicità indossare una divisa!”).
È la sezione a parer mio più interessante, nella quale si manifestano – già nei giochi (“La prima collezione che feci fu quella dei sassi”) – aspirazioni all’autenticità, rifiuto delle imposizioni e preferenze che inducono la bimba a sentirsi diversa (“La diversità che rivendicavo era legata a cose modeste. Poter indossare i pantaloni, avere i capelli corti… aspirare a mestieri allora proibiti alle donne”), particolare, a volte prevaricata (“La mitezza, la profondità dell’animo attirano le attenzioni perverse di chi di quelle qualità è privo, come la calamita il ferro”), complessivamente irrealizzata (“Sì, ero straordinariamente infelice”). 

Nella seconda parte (La parte non misurabile), l’autrice individua la fase biologica nella quale le contraddizioni vengono problematizzate nei quesiti fondamentali (“Chi aveva creato la vita aveva anche creato la morte? E per quale ragione?”) che rimarranno una costante della vita. Domande alle quali la religione tradizionalmente intesa non sa rispondere (“Quel Dio con la barba bianca… aveva chiesto ad Abramo di uccidere suo figlio e, non appena ne aveva avuto uno suo di figlio, Gesù, aveva pensato bene di mandare a morte anche quello”). Perché riproduce gli schemi sociali che ci stanno perdendo: “In un mondo in cui ormai tutti vivono con gli auricolari conficcati nelle orecchie e gli occhi costantemente rivolti a qualche schermo luminoso, è sempre più difficile che… irrompa la straordinaria grazia di un incontro”. 

La Terza parte (Un faro nella notte) idealmente rappresenta il momento della risposta ai quesiti, ammesso che una risposta sia possibile: quando la religiosità (“Mi capitò di vedere il film di Zeffirelli su san Francesco… Quel ragazzo parlava con gli animali, come facevo sempre io quando mi trovavo sola nella pace dei boschi”) trasborda dalla ritualità delle tradizioni sacramentali (“Il potere…è… l’antitesi dell’amore”) all’intimità del sentirsi parte di una spiritualità che attraversa il mondo. Il faro e il “fiume carsico” dell’esistenza sono due modalità per rappresentare questo momento di passaggio e di conquista, nella consapevolezza critica che ogni attività umana debba essere valutata con integrità e indipendenza: “Il brutto ha invaso ogni campo dell’umano. Un libro è esaltato quando esibisce il degrado cinico dell’uomo, la musica quando sfugge alle leggi dell’armonia; le arti visive propongono sempre più spesso opere discutibili che solo l’astuto mercato dell’arte riesce a imporre come capolavori”. 

Bruno Elpis 

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