Le recensioni di Bruno Elpis
Perché tu non ti perda nel quartiere di Patrick Modiano (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Patrick Modiano riprende nella sua ultima opera, intitolata “Perché tu non ti perda nel quartiere”, temi cari a lui e alla letteratura francese, come preannunciato e condensato nella citazione iniziale di Stendhal (“Non posso restituire la realtà dei fatti, posso solo presentarne l’ombra”).
Jean Daragane è uno scrittore misantropo (“Quella sensazione che gli altri si allontanino da te a poco a poco”) e scostante (“Quando era più giovane approfittava di ogni minima occasione per piantare in asso le persone”), che tende a isolarsi sempre più dalla realtà (“Non parlava con nessuno dall’inizio dell’estate”). Improvvisamente viene contattato da Gilles Ottolini, un individuo losco (“Ma la voce di poco prima non gli aveva ispirato fiducia”), che dice di aver ritrovato il suo taccuino (“È per il suo taccuino degli indirizzi, signore. L’aveva perso un mese prima su un treno che lo portava in Costa Azzurra”).
Ottolini confessa di aver sbirciato tra le pagine e di avervi ritrovato un nominativo che lo interessa (“C’è qualcuno di cui ho trovato il nome nel taccuino. Le sarei grato se volesse darmi qualche informazione su di lui…”). Daragane oppone ai tentativi di approfondimento di Ottolini una resistenza difensivistica (“Nessun nome apparteneva a persone che avevano contato qualcosa nella sua vita: di quelle non aveva mai avuto bisogno di annotare i recapiti e i numeri telefonici”), ma al contempo – anche grazie agli indizi che gli vengono forniti da Chantal Grippay, la donna legata a Ottolini da un misterioso rapporto (“Sembrava che fosse abituata a ubbidirgli”) – si lascia coinvolgere sempre più (“Come una puntura d’insetto che all’inizio ti sembra molto lieve”) dagli sviluppi di quella vicenda e avvia una ricostruzione del passato, dal quale fuoriescono la tenuità del rapporto con i genitori, una foto tessera che scatena ricordi sepolti (“Bambino non identificato. Perquisizione e arresto Astrand, Annie. Frontiera di Ventimiglia. Lunedì 21 luglio 1952”), un nome di donna, Annie Astrand, una casa (“Alla Maladrerie ha abitato strana gente…”) dal passato indiziario (“Come dice il suo nome, è stata costruita dove sorgeva un antico lebbrosario”) che custodisce le sensazioni confuse di un bambino (“C’era un grande via vai in quella casa…A volte arrivava gente anche in piena notte…”).
Tempi (“Passato e presente si confondono, e sembra naturale visto che erano separati soltanto da una parete di cellofan”), luoghi e segnali (“L’abito nero con le rondini era sempre appoggiato sullo schienale del divano”) s’intrecciano nella meticolosa ricerca che Daragane (la controfigura di Modiano?) compie per interpolare buchi e ombre della memoria, tracciando attraverso la creazione letteraria un percorso esistenziale da emendare e ricostruire (“Anche lui, in più di quarant’anni, aveva inserito uno spazio bianco al posto del periodo in cui scriveva il suo primo libro e dell’estate in cui girovagava da solo con in tasca un foglio piegato in quattro: PERCHÉ TU NON TI PERDA NEL QUARTIERE”). Parigi è più che mai città dai circuiti misteriosi, da praticare passando da un indizio all’altro (“Era un frammento di realtà contrabbandato, uno di quei messaggi personali inviati attraverso un annuncio sul giornale e che una sola persona è in grado di decifrare”), osservando edifici che si conservano nel tempo o che il tempo demolisce e trasforma (“Sarebbe andato alla ricerca di scale segrete e porte nascoste”), tra identità mutevoli (“La targhetta dice Joséphine Grippay, ma ho cambiato nome di battesimo”) e toponomastiche che realizzano le sorprese di un’esistenza criptata da decifrare e interpretare (“Perché alcune persone di cui neppure sospetti l’esistenza, che incroci una sola volta senza mai più rivederle, recitano fra le quinte un ruolo così importante nella tua vita?”).
Il risultato rimane lì sospeso: non cerchi il lettore la soddisfazione integrale di ogni quesito razionale. Non la troverà. Perché anche il lettore, come il protagonista, dovrà identificarsi nelle approssimazioni risolutive o nella vaghezza atemporale che aleggia su pagine scandite da telefonate incalzanti che assumono sempre più tonalità minatorie ed enigmatiche (“Un respiro, all’inizio regolare poi sempre più affannoso, e una voce lontana…”).
Bruno Elpis
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