Le recensioni di Bruno Elpis
Il regno degli amici di Raul Montanari (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
La notizia della pubblicazione dell’ultimo romanzo di Raul Montanari, “Il regno degli amici”, ha riattivato un meccanismo psicologico che, per struttura e modalità, accompagnava – nel mio passato studentesco – l’uscita di un nuovo disco di Lucio Battisti (soprattutto dopo il divorzio artistico da Mogol), quando si combinavano variamente la curiosità (ci saranno nuove sonorità?), il vago timore di rimaner delusi da un mito, la tattile soddisfazione di stringere tra le mani la materializzazione dell’espressione artistica idolatrata (il vinile era un manufatto unico. Ma anche i meno feticisti troveranno bellissima la cover del nuovo romanzo di Montanari).
Sospeso tra istinti antitetici (quello di prolungare l’apnea della lettura per dilatarne il piacere, quello di concludere per interiorizzare e valutare il romanzo), ho affrontato “Il regno degli amici” con un duplice riferimento anagrafico-cabalistico.
Per cronologia e per il tema trattato, “Il regno degli amici” è adiacente a “Il tempo dell’innocenza”: in quest’ultimo si tratta il difficile passaggio dall’infanzia alla pubertà, nel nuovo romanzo i protagonisti sono completamente immersi nell’adolescenza.
Pensando poi a “La perfezione” (1994), è facile constatare che in un ventennio Raul Montanari ci ha ormai regalato tredici romanzi…
Dunque, l’adolescenza occupa le pagine con le sue dinamiche di gruppo (“Mi stava dimostrando che era pronto a combattere contro un maschio, per me”) e con le individualità che rappresentano un’età nella quale le personalità affiorano, si determinano, interagiscono, soffrono e si divertono con autenticità e vigore vitalistico.
In questo ambito, i personaggi sono caratterizzati con potenza ora ironica, ora realistica: il narratore Demo; il leader del gruppo, quel Fabiano un po’ smargiasso che interpreta il ruolo che anche in natura viene assegnato all’esemplare capobranco sia per le attitudini sia per le doti estetiche (“Fabiano oggi era scintillante”); lo stralunato e ieratico Elia (“Il Profeta non veniva chiamato così solo perché il suo nome era Elia, ma per la capacità di pronunciare enormità sovrumane”); il misurato Ric Velardi (“Sotto molti aspetti era il sedicenne più sorprendente che avessi conosciuto e la sua influenza su di me crebbe di giorno in giorno”). Infine lei, la ninfa pescatrice (“Valli cacciava e pescava per mangiare, non per sport”), la ninfa della Martesana, la quattordicenne Valli, che si candida a sparigliare gli equilibri collettivi (“Accarezzò la gallinella con le sue mani da assassina e ci sfidò con lo sguardo”).
L’adolescenza viene poi rappresentata in tappe, processi e riti: il dissidio con il padre e la confidenza con un parente collaterale (lo zio Rainer, professione dimafonista); la scelta della scuola superiore; l’intimismo affidato a un diario (“La lingua di Omero, l’avevo usata per crittografare il diario”); il senso di libertà per una vacanza trascorsa senza i genitori; la ricerca del covo (“La fucina di Vulcano… La stanza sembrava una caldaia”); lo scontro tra branchi rivali; il disordine alimentare e i deliri assicurati da alcolici e cannabis (“Tutto era immerso in un brodo alcolico primordiale e il fumo ristagnava nel tinello, intossicandoci”); l’onanismo declinato al plurale (“Non avevo voglia… di complicarmi la vita con femmine vere, quando c’erano quelle di sogno ad aspettarmi fra le pagine patinate”) che ricorda quello solitario dell’Arturo Bandini de “La strada per Los Angeles” (“Il giorno dopo aver distrutto le mie donne mi pentii di averle distrutte”, John Fante); il gergo che crea un senso di appartenenza attraverso sigle e acronimi (ove CC-1 sta per cena cinese; N-1 narghilé; SS-1 seduta spiritica…); le esperienze di trasgressione in piccoli furti (al supermercato, in chiesa), in sedute spiritiche (“Proprio perché tutti spingono… il piattino… alla fine nella stanza è davvero presente un’altra persona… che è venuta fuori dall’insieme di tutti”), e altro ancora.
In mezzo a tanta ricchezza, è bello poi tentare di rintracciare il Montanari-pensiero (“Per ottenere non devi desiderare… La vita è generosissima nelle cose di cui t’importa poco e terribilmente avara in quelle che agogni con tutto te stesso”) in considerazioni sulla religione (“Per cominciare, una religione è una storia; anzi, tante storie insieme, spesso molto belle, che sopravvivono anche alla perdita della fede. Da quanti secoli nessuno crede più a Zeus e Apollo? Eppure questi dèi e i loro miti vivono ancora fra noi…”), sulla morte (“A quell’età la contempli con una purezza che non avrai mai più, senza sporcarla con miserie accessorie – vecchiaia, malattia, come starò, chi ci sarà al mio capezzale”), sul tempo (“Poi, quando il futuro è arrivato, ho scoperto che la felicità vera era quella che avevo vissuto allora. Avevo scambiato l’esecuzione per i preparativi: quella a cui avevo assistito a quindici anni non era la prova d’orchestra. Era già il concerto”). Per concludere, senza per questo cedere alla superstizione, che Raul Montanari ha brillantemente superato anche la scaramanzia della triscaidecafobia.
Bruno Elpis
http://www.i-libri.com/libri/il-regno-degli-amici/