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Le recensioni di Bruno Elpis

Le sultane di Marilù Oliva (i-libri)

coverChi sonoLe sultanedi Marilù Oliva?
Sono tre donne che hanno irrimediabilmente imboccato la via del tramonto anagrafico, ma che – non per questo – sono sprovviste di vitalità, sogni e desideri.
Le sultane (“Ci chiama le Sultane quando vuole canzonarci, perché dice che siamo le signore indiscusse di questo palazzotto di via Damasco”) sono Wilma, Mafalda e Nunzia: tre personaggi perfettamente caratterizzati nel crescendo di un romanzo che ci fa scoprire le sue eroine attraverso gesti, azioni, pensieri. 

Wilma, narratrice in prima persona in capitoli alternati alla storia raccontata dalla scrittrice, è ancora attiva come instancabile venditrice. Ha la vita massacrata da vicende familiari dolorose: l’amato figlio Juri è tragicamente morto in un incidente stradale; la figlia Melania è blandamente ostaggio di una setta satanica; a lei - nondimeno – Wilma riserva un amore imperfetto, che ambisce al riscatto… Nei momenti d’intimità, la Sultana narrante indossa guepière e scarpette griffate e si ammira nello specchio sulle note di un disco di Mina.

Mafalda è taccagna fino al midollo… non fosse che il suo midollo è prosciugato da un marito affetto da demenza senile e da due figli che hanno sempre preso, senza mai ricambiare.
Nunzia ha un fisico a imbuto per via dell’elefantiasi delle gambe, è bigotta all’inverosimile, superstiziosa, e vive ignara delle vicende sentimentali della figlia. Nonostante queste caratteristiche recessive, riserva al lettore una sorpresa con la “S” maiuscola. 

Le tre donne si tengono compagnia, si spalleggiano, sono legate da un’amicizia vera che non recede nemmeno di fronte al crimine…  un crimine che ha la leggerezza di “Arsenico e vecchi merletti” (“Chi mai potrebbe sospettare di due inoffensive vecchiette che trascorrono il sabato sera insieme per svagarsi a scala quaranta?”) e i risvolti truci del ”Grottesco” di Patrick McGrath (“Io non ho mangiato Carmela”), costituisce il sottofondo umoristicamente nero (“E basta con quella faccia. Non hai mica ammazzato nessuno”) che Marilù Oliva imbastisce per condurre il proprio ragionamento sulla senescenza e sui suoi drammi: sentirsi derisi o rifiutati (“Ma non ti rendi conto che sei ridicola, brutta vecchiaccia?... In quella frase è concentrata l’essenza profonda di come viene considerata la vecchiaia dalla stragrande maggioranza della società. Ridicola, inappropriata. Inutile.”), vivere il conflitto tra l’energia interiore e la decadenza dell’aspetto esteriore (“I birilli sono un dono della vecchia sgangherata del condominio di fianco, quella con la gobba e la ricrescita bianca”), macinare sogni in una progettualità che deve fare i conti con il tempo ancora a disposizione, aver paura della morte (“È quando arriva la vita che bisognerebbe aver paura, semmai, non quando scende la morte”)… 

Il romanzo di Marilù Oliva è sfaccettato, proprio come la vita nella multiformità delle sue fasi: è divertente e malinconico, semplice e complicato, giovane e attempato, aspro e dolce, disperato e speranzoso (“Secondo te possiamo desiderare tutto quello che vogliamo?”)… 

Bruno Elpis 

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