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Le recensioni di Bruno Elpis

Le città invisibili di Italo Calvino (i-libri)

Valdrada

Le città invisibili” formano uno dei romanzi più complessi di Italo Calvino. Per contenuti, struttura e impostazione culturale, ci troviamo di fronte a un prodotto del genio creativo di Calvino, immerso negli sperimentalismi degli anni settanta. 

Il contenuto apparente: le città invisibili 

Sembra una contraddizione in termini: attribuire l’apparente contenuto a realtà invisibili, le città invisibili ("Di Argia, da qua sopra, non si vede nulla; c'è chi dice: È là sottò e non resta che crederci; i luoghi sono deserti"). Ma è una costante in Calvino che, fin dalla trilogia de “I nostri antenati”, si è occupato - nell’ordine - di un personaggio fisicamente dilacerato, di un eroe rampante e arboricolo, di un’entità cavalleresca inesistente. Contraddizioni viventi o personificazioni di fantasmi umani.
Ogni capitolo è introdotto dal dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari, Kublai Khan, che interroga l’esploratore sulle città del suo sterminato impero. E Marco Polo descrive città reali o immaginarie, suscitando interesse e attenzione nell’interlocutore ("Se ti descrivo Olivia, città ricca di prodotti e guadagni, per significare la sua prosperità non ho altro mezzo che parlare di palazzi di filigrana con cuscini frangiati ai davanzali delle bifore").
Le cinquantacinque città descritte da Marco Polo hanno nomi di donna e sono il simbolo della complessità reale ("In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare") da imbrigliare nella struttura il meno possibile rigida di un’opera. 

Bauci

La struttura e la letteratura combinatoria 

Tecnicamente, il romanzo pubblicato nel 1972 rappresenta, per ammissione dello stesso autore (“questo libro è fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po' dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli”), un esperimento della letteratura combinatoria.
I dialoghi di Marco Polo e Kublai Khan sono una cornice, un telaio. All'interno dei nove capitoli, il lettore può assumere un ruolo attivo e giocare a “gatto e topo” o a “nascondino” con l’autore, cercando le combinazioni cifrate dell’opera e i suoi significati ("Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che è il modello di un'altra Fedora").
Le città sono organizzate in undici categorie: memoria, desiderio, segni, le città sottili, scambi, occhi, nome, morti cielo, le città continue, le città nascoste.
Il lettore può valutare se seguire la sequenza proposta dall’autore, oppure visitare le città per categorie o addirittura spigolare a proprio piacimento saltando di palo in frasca. I più tradizionalisti, incantati dall’originalità di Calvino, potranno seguire pedissequamente l’ordine narrativo impartito dall’autore. Senza escludere, in futuro, una lettura più creativa dell’opera. 

Laudomia

Tra simbolismo, utopia ed esistenzialismo 

Ne “Le città invisibili” si ritrovano molti spunti confluiti in un’opera potentemente simbolica, plastica nell’architettura organica e fotografica nelle tappe.
La ricerca di Calvino riscopre le valenze oniriche illuminate dalla teoria psicanalitica: le città sono sogni perché “tutto l'immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra”.
Il sogno ("Pensai: se Adelma è una città che vedo in sogno, dove non s'incontrano che morti, il sogno mi fa paura. Se Adelma è una città vera, abitata da vivi, basterà continuare a fissarli perché le somiglianze si dissolvano e appaiano facce estranee, apportatrici d'angoscia. In un caso o nell'altro è meglio che non insista a guardarli") poi sconfina in una nuova proposta di utopia: destrutturata, discontinua, immaginifica ("La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c'è il grande ottovolante dalle ripide gobbe, la giostra con la raggiera di catene, la ruota delle gabbie girevoli, il pozzo della morte con i motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo dei trapezi che pende in mezzo. L'altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto"), cavalcando una realtà che non è concreta, ma fluida, ideale, fantastica ("Guardato il fiume, valicato il passo, l'uomo si trova di fronte tutt'a un tratto la città di Moriana, con le porte d'alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina").
I temi del ricordo ("Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari") e del tempo si combinano in modo nuovo all’angoscia del disordine – che sia questa la matrice dell’ansia struttural-semiotica di Calvino? – riattizzando le fiamme dell’inferno reale. Con una proposta: vi sono due modi per affrontare “l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” . “Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Come dire, delle due l’una: o conformarsi o ribellarsi… 

Bruno Elpis 

http://www.i-libri.com/libri/citta-invisibili/

Anastasia