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Le recensioni di Bruno Elpis

Avrò cura di te di Massimo Gramellini e Chiara Gamberale

Rubens

In Avrò cura di te la coppia formata da Massimo Gramellini e Chiara Gamberale interpreta un duonon propriamente riuscito: Gioconda, trentaseienne alle prese con il naufragio delle sue nozze con Leonardo (“Leonardo e la Gioconda, che senso dell’umorismo ha la vita”), e Filemone, entità difficilmente schematizzabile se non con la definizione che il romanzo ne fornisce: un angelo!

Filemone ha l’improbo compito di ricondurre a ragione Gioconda e, con interventi epistolari, la invita a riflettere su sentimenti e amore, per individuare le cause del fallimento matrimoniale, sorprendentemente riconducibile… a un tradimento (“Leonardo si considera vittima di una tua azione… e tu del suo sentirsi vittima”). 

L’operazione salvifica avviene in un quadro metafisico piuttosto traballante sul piano concettuale (“Rafa-El, l’Arcangelo della Cura, ritornò in visita al mondo degli Innamorati Eterni, dove il cielo ha il colore degli oceani e le nuvole assomigliano a scogli innaffiati di schiuma”), così sospeso tra new age (“Da questa parte del velo siamo tutti Uno”) e metempsicosi (“Mi sono incarnato tante volte”), con riflessioni non propriamente folgoranti (“E non sarà certo tornando indietro che riavrai quanto hai perduto”), affermazioni nazional-popolari (“Ma che cos’hai contro Renato Zero, scusa?”) che fin dal titolo riecheggiano canzoni di successo (“Anima mia”), aforismi più intonati all’industria dolciaria che alla letteratura (“Gli amori non finiscono col tempo. Cambiano forma, scavano nuove profondità”), metafore brucianti che vorrebbero essere suggestive (“Ma tra l’incendio degli esordi e la cenere dei congedi esiste il crepitio del caminetto. Andrebbe alimentato di continuo per evitare che si spenga. Perché poi riaccenderlo è dura”) e situazioni al limite della superstizione (“C’ero in pizzeria: specialità calzone ai quattro formaggi, non l’ho mai sopportato da vivo, immagina rivedermelo nel piatto in puro spirito”). 

Il profilo dei due antagonisti epistolari è la diretta conseguenza di una struttura sintonizzata sulla demagogia: l’angelo risulta didascalico (“Prenditi tutto il tempo, ma non lasciare che il tempo si prenda tutto”) e camaleontico nel dismettere le vesti celesti per indossare – all’occorrenza –quelle dello speleologo (“Ma io sono un Custode di poche pretese: mi accontento di una grotta immaginaria”); Gioconda, ahimè, fa la figura della nevrastenica (“Sono arrivata con cinquantotto minuti d’anticipo…”) egocentrica (“Se tu fossi uscita almeno per un attimo dal narcisismo che ti acceca…”). 

Datemi retta: forse è meglio rileggere insieme, con Ovidio, il mito di Filemone e Bauci (libro VIII delle Metamorfosi)… 

Bruno Elpis 

http://www.i-libri.com/libri/avro-cura/