Le recensioni di Bruno Elpis
La recensione interattiva. “Novelle col morto” di Gaia Conventi (i-libri.com)
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- Scritto da Bruno Elpis
Le “Novelle con il morto” sono due, ma nella prima (“Quarti di vino e mezze verità (La mummia che sapeva troppo)” di morti ce ne sono addirittura dodici, anzi tredici (un po’ come nei pranzi che i più superstiziosi accuratamente scansano). E sono morti mummificati, proprio come nei gialli storici ove personaggi temerari e avventurosi provocano ire e maledizioni dei faraoni. Come ti è venuto in mente di piazzare gli emuli di Tutankhamon (“Le mummie della Confraternita, custodite nella cripta”, “alcuni imparentati con grossi calibri, vanno dagli Este ai Gonzaga, dai Farnese ai Savoia”) in una pieve sul fiume Po?
Gaia: “Io mi muovo bene solo a casa mia, conosco i miei polli e pure le mie mummie, anche se quelle le ho importate dalla Puglia. Da un viaggio fatto a Oria, che ricordo per la buona cucina, le amicizie locali e, appunto, le mummie. Perché non portarle a Ferrara?, mi sono detta. Occorreva soltanto trovare la giusta angolazione e una pieve serviva di certo, ne abbiamo una molto carina a due passi da Ferrara. Ma tu guarda il caso! E se hai cose così, mica puoi fare finta di niente... Eccomi allora a piazzare mummie in una pieve ferrarese, a dare una sistematina alla storia estense – non potevo farcele entrare a forza, poi le mummie si sciupano... – e a creare un giallo alla vecchia maniera: pochi personaggi, luogo isolato, tempo da lupi. Ecco tutti i cliché necessari, da rimaneggiare a dovere per trarne qualcosa di diverso. Di inaspettato, o così spero.”
Io lo so, perché l’hai già confessato, che con questa storia volevi irridere i cliché del thriller storico. Quali sono i tratti di questo genere che ti destabilizzano? Ritieni di aver colpito nel segno con “Quarti di vino” secondo l’adagio “in vino veritas” o piuttosto hai raccontato soltanto “mezze verità” in sintonia con il detto “in medio stat virtus”?
Gaia: “Trattando libri e libercoli per Giramenti, mi sono resa conto che tanta gente prende sottogamba il giallo storico. Ahia, che brutta idea! Il giallo storico – che io mai scriverò, non sono così brava – è difficile da rendere, ed è difficile non annoiare i lettori con certi polpettoni di fatti e date. Ho quindi tentato, alla mia maniera, di far presente a qualcuno – uno o più di uno – che non basta usare i soliti ingredienti per fare una buona zuppa. Io ci ho infilato l'ironia. Non dico che adesso la zuppa sia mangiabile, ma di certo è diversa dal solito.”
Perché hai preferito collocare la storia di Leonetto & c. in un paese immaginario (Arginario Po) piuttosto che in un luogo reale?
Gaia: “Perché Arginario Po è la somma di tanti paesi, di tante località ferraresi in cui ho abitato o in cui sono semplicemente stata accolta per qualche giorno o qualche ora. C'è persino un po' della mia Goro, che seppure “in provincia di”, è così distante da Ferrara e dalla sua storia.”
Nel tuo “giallo storico” manifesti palesemente l’ammirazione per Lucrezia Borgia. Vogliamo spendere due parole per riaccreditare la figura di questa donna?
Gaia: “Ah, poveretta! Quante ne hanno dette sul suo conto, e pensare che era la migliore della sua casata. Non che “papa papà” Alessandro fosse una brava persona, ma nemmeno lui era poi così diverso dalla gentaglia dell'epoca. Erano altri tempi, altri costumi... e poi si fa presto a dire male di gente che non può difendersi. Ma non s'era stabilito che dei morti bisogna sempre dire bene? Ma non fanno così al telegiornale? Anche Lucrezia Borgia salutava sempre, eh?”
E adesso diamo a Cesare quello che è di Cesare e a Gaia quello che è suo. Possiamo ammettere che, dietro alla maschera del sarcasmo, Gaia Conventi cela un grande amore per le bellezze storiche e paesaggistiche della sua terra d’origine? Al punto da inserire nella storia anche la critica alla miopia di amministrazioni locali disposte a compiere abusi edilizi (la costruzione di un ostello in luogo delle stalle) in nome dell’interesse economico (“La Pieve sarebbe diventata la Gardaland degli spiritisti”)?
Gaia: “Ah, be', se proprio vuoi buttarti sulle cose serie... Sì, lo ammetto, amo Ferrara. Ferrara per me è la bomboniera silente, nella sua bellezza immobile c'è un po' di quelle buone cose di pessimo gusto che la nonna di Gozzano deve aver piazzato nelle vetrinette di casa. Bomboniere che, per apprezzarle, devi sapere chi si è sposato con chi, quando, com'era l'abito della sposa... Racconti, fole, storie piccole e grandi. Ferrara non è soltanto quella ritratta in cartolina, non è il suo incantevole centro storico, non è la salamina da sugo col purè. O meglio, è tutte queste cose e poi è Ferrara nei secoli, Ferrara che si preserva tale e quale, senza sapere perché e per chi. Ecco perché va difesa, dagli attacchi di una modernità ingorda, così come da se stessa: nella vetrinetta prima o poi i confetti si fanno immangiabili.”
2 – continua
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