Le recensioni di Bruno Elpis
I cavalieri della grande laguna di Fulco Pratesi (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
“I cavalieri della grande laguna” di Fulco Pratesi è opera che riconcilia lo spirito, particolarmente adatta al clima natalizio di questi giorni, soprattutto ripensando ai vecchi film della Disney, quelli più artistici e meno tecnologici, nei quali gli animali parlano e agiscono.
L’opera risale al 1979 e mi è stata regalata da un’amica che ama scovare libri sulle bancarelle dei mercatini, in ciò dimostrando il gusto antico della ricerca amatoriale che caratterizza i lettori più autentici e creativi.
La genesi della storia è svelata nell’introduzione dall’autore, che così festeggia la ricomparsa dell’elegante trampoliere – il cavaliere d’Italia - nella laguna di Orbetello: “Dopo aver osservato per ore col binocolo… ci decidemmo di andare a vedere. Il nido era lì, costruito di alghe verdi su una frasca secca semigalleggiante, con quattro uova verde-oliva screziate di bruno.
Un’emozione difficile da descriversi.
Dopo cento anni il cavaliere era tornato.”
La narrazione è una festa di animali-personaggi, capitanati dal leader Durante e dalla “sua compagna Sette (si chiamava così perché una volta invece di deporre quattro uova come tutte le altre ne aveva deposte sette)”, in un nugolo colorato di volatili (“le pittime e le pantane, le pettegole e gli albastrelli, le oche selvatiche e le gru… i pivieri dorati e le pavoncelle”) che inneggiano alla libertà e alla natura.
Con i loro rituali (“Rispetto che nel periodo degli amori si esplicava con formalismi magari esagerati… due passi; un inchino col becco, arma di difesa e di offesa, rivolto verso terra; altri due passi”), i protagonisti hanno nomi (“Pallino… si chiamava così perché riteneva sotto la pelle vermiglia della zampa sinistra un pallino di piombo sparatogli da un cacciatore”), caratteri ben delineati (“Coccodrillo - il suo nome derivava dal fatto che nel Grande Sud andava a beccare quasi in bocca ai coccodrilli, ma non per audacia quanto per distrazione”) e manifestano la loro visione del mondo grazie all’abilità d’immedesimazione (superato il terrore dell’applicazione degli anelli rilevatori, gli uccelli razionalizzano: “Il mio braccialetto è più bello”… è “una specie di portafortuna”) di Fulco Pratesi. In virtù di questa capacità, è facile seguire le vicende di uccelli che si destreggiano tra pericoli (“Un punto piccolissimo nel cielo che in pochi secondi si trasformava in un uccello scagliato a velocità incredibile verso il basso”) e insidie (“prima l’alluvione, poi la volpe, ora il falco”), nella lotta per la sopravvivenza della specie e per l’adattamento ad ambienti spesso contaminati (“Fermo, c’è la morte qui!”). Perché – come sempre – negli equilibri naturali interviene uno sciagurato protagonista: l’uomo, da sempre impegnato nell’autodistruzione e dedito ad attività destabilizzanti o discutibili come la caccia…
“Dell’uomo avevano una paura antica. Ma non di tutti. Quelli neri che frequentavano i canneti delle paludi africane non erano pericolosi. E così anche i bianchi che non portavano fucili (“bastoni di tuono” li chiamavano).”
E se i cavalieri d’Italia, con la loro innata signorilità (“A ogni movimento dei lunghi compassi rossi delle zampe…”), facilmente accettano la legge superiore che governa gli spietati meccanismi ecologici della selezione (“Con chi te la vuoi prendere? Mi pare che non ci sia nessuno con cui prendersela, tranne solo la Grande Legge”), per noi diventa inaccettabile aderire all’idea di un percorso pericoloso, che non può portare a nulla, se non impareremo a gustare i ritmi (“Il soggetto vero della storia è il misterioso e irresistibile moto di migrazione che vede ogni anno impegnati milioni e milioni di uccelli in tutto il mondo, che ci porta in primavera il canto dell’usignolo e in autunno quello del pettirosso…”) e rispettare le bellezze straordinarie del pianeta vivente, del quale siamo figli con la stessa dignità di ogni altra creatura.
Bruno Elpis