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Le recensioni di Bruno Elpis

Cuore primitivo di Andrea De Carlo (i-libri)

Andrea De Carlo

Il teatro di “Cuore Primitivo”, l’ultimo romanzo di Andrea De Carlo, è un paesino ligure: “Canciale gli era sembrato un luogo rude, sciatto, semidesolato; l’umida, sparsa periferia campestre di un paesino preappenninico arrampicato sulle ripide coste di monte tra luce e ombra”. 

Lì, nella casa di vacanza, si attua l’agonia sentimentale di Mara Abbiati (“una giovane scultrice di talento appena uscita faticosamente da una lunga e difficile storia con un liutaio ciclotimico”), artista specializzata nella scultura di gatti (“i suoi gatti sono il risultato di un lungo percorso di ricerca e affinamento, l’unico soggetto a cui si dedica da anni”), e del marito, l’antropologo Craig Nolan, “uomo diffidente, iperrazionale, emotivamente sorvegliato”, che sta lavorando alla “uscita dell’edizione italiana di Cuore primitivo”.

Dopo la rovinosa caduta dal tetto di Craig, la coppia decide di affidare il ripristino della copertura a Ivo Zanovelli (“con quella catena d’oro al collo, quelle maniche tagliate per mettere in mostra le spalle e le braccia muscolose, i tatuaggi tribali”) e questa è l’occasione per far emergere conflitti e incomprensioni astiose della coppia (“i balcanici indemoniati picconano il tetto come furie, lo squarcio nel soffitto… si allarga a vista d’occhio, la polvere satura l’aria…”). 

coverAndrea De Carlo approfitta di una trama in sé semplice per dare libero sfogo alle abilità espressive che lo contraddistinguono: spaziando dall’analisi psicologica dei personaggi (“No grazie, sono vegetariana”… “A lei sembra che sia un buon punto di separazione tra le loro due visioni radicalmente diverse della vita, un elemento simbolico d’importanza decisiva in termini etici e intellettuali”), all’immedesimazione nei lori punti di vista, all’approfondimento delle dinamiche umane, l’autore conduce il lettore nei meandri socio-culturali e perfino lessicali (“Del resto sarcasmo non deriva dal greco sarkazein, che vuol dire strappare la carne, digrignare i denti per la rabbia?”) che articolano la complessità della vita relazionale. 

La ricerca narrativa che abbiamo conosciuto in “Treno di Panna”, la profondità drammatica di “Due di due”, l’umorismo sottilmente intellettuale di “Giro di vento” e la caratterizzazione dei personaggi di Uto confluiscono in quest’opera nella quale si assapora il gusto dell’espressione e dell’analisi. 

Lo stile è quello che rende Andrea De Carlo riconoscibile a colpo d’occhio: nel climax delle domande (“L’ipotesi dell’ossessione erotica per un maschio non evoluto, favorita da un equivoco semantico?”), negli echi culturali (un capitolo sembra riproporre in versione contemporanea l’inno alla velocità del futurismo: “Quello che gli piace è essere la bestia, corpo ruote telaio motore”), nell’utilizzo frequente di onomatopee da fumetto (“Stonk! Sbam-sbam-sbam!...”), nell’attenzione per le manifestazioni corporee ed esteriori (“Craig Nolan e sua moglie restano per qualche secondo sul prato in atteggiamenti generici… Per quanto la posizione eretta di un essere umano fermo possa sembrare statica, le misurazioni strumentali mostrano uno stato di oscillazione continua dalla caviglia al piano saggitale, quasi inavvertibile allo sguardo”), nella conduzione di retropensieri paralleli alla dinamica superficiale dei dialoghi (come nel colloquio tra Craig e la vicina Launa che stende la biancheria: “Le possibili ragioni per cui un’anziana signora come questa indossi biancheria intima non puramente funzionale”). 

Un romanzo molto psicologico (per alcuni passaggi mi ha ricordato “Scene da un matrimonio” di Bergman) ed etnologico. Intellettualmente divertente. 

Bruno Elpis

http://www.i-libri.com/libri/cuore-primitivo/