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Le interviste di Bruno Elpis

Intervista a Patrizia Rinaldi (in occasione della pubblicazione di Rosso caldo)

D - Innanzitutto complimenti: Blanca è diventata un “prodotto d’esportazione”! Cosa ci racconti di questa nuova esperienza? All’estero, che accoglienza ha avuto il tuo romanzo?
R - Grazie. Pare bene, ma è presto per conoscere con precisione i dati: Europa Edition ha pubblicato la traduzione di Tre, numero imperfetto di Antony Shugaar per la distribuzione negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ad agosto scorso, Ullstein ha pubblicato la traduzione di Ulrike Schimming a maggio. È stata un’esperienza che mi ha insegnato molto, il confronto con i traduttori è stato una lezione bella di linguaggi diversi, di esigenze lessicali complesse. 

D - Con quale emozione affronti il nuovo appuntamento di “Rosso caldo” con il tuo pubblico?
R - Rosso caldo è il terzo libro della trilogia di Blanca, l’accoglienza dei lettori sarà più determinante del solito. Ce l’ho messa tutta per non deludere le persone che mi seguono e che si sono affezionate alla serie. La risposta resta a chi legge, a chi vorrà seguire i personaggi che in Rosso caldo rivelano fratture, sanamenti. Il sentimento mio è stato autentico, ora aspetterò con rispetto il giudizio dei lettori e della critica. 

D - Quali sono stati gli stimoli che ti hanno indotto a scrivere questa nuova avventura?
R - Durante la prima stesura mi è sembrato sensato accogliere i cambiamenti dei personaggi fissi; come accade nella vita reale  non possono somigliarsi sempre. La possibilità della serie che mi ha garantito e/o prevede anche la libertà di cambiare insieme ai personaggi. Seguendo la stessa premessa, ho scelto un intreccio più complesso. Mi interessano le fratture che generano nuovi equilibri, che certo non consolano, ma che danno luce a situazioni inaspettate.  

D - Discorrendo con te, ho appreso che molti spunti narrativi provengono dalla “vita vissuta”. Vuoi condividere con i lettori qualche particolare di questo “scambio” tra romanzo e vita reale?
R - Mentre scrivo la vicinanza sentimentale alla finzione narrativa deve essere forte. Nella prospettiva dell’immaginario convergono inevitabilmente parti di me.
Ninì, la figlia adottiva di Blanca, ad esempio, fa i conti con la crescita che sa destabilizzare. Lei ha un passato complesso, ma l’esasperazione è il riflesso di una difficoltà comune nei rapporti genitori-figli e tra il sé giovane e l’esterno. Sto molto con i ragazzi della sua età e questo aspetto mi riguarda. 

D - L’idea di concepire una detective ipovedente da dove nasce?
R - Nasce soprattutto dall’esigenza di dare dignità di risorsa al limite. Non credo riguardi solo persone ipovedenti, resiste chi sa trovare risposte non omologate, non previste. Apprezzo chi non si lamenta, ma si adopera per sfruttare ogni imperfezione privata o delle circostanze per conoscere possibilità nuove. Certo, il travaglio non è indolore, ma mi pare più distruttivo non attraversarlo con consapevolezza. 

D - Hai già qualche spunto per la quarta avventura che vedrà Blanca per protagonista?
R - Quando termino una storia della serie, mi accade di pensare già al seguito. Forse è una cura privata al distacco e alla nostalgia. Non scrivo velocemente, vivo con i protagonisti lunghi periodi e non mi va di mandarli via in fretta, come se non mi avessero fatto compagnia per tanto tempo. Anticipo solo che questa volta non sono riuscita a staccarmi del tutto dall’immagine delle mani di Blanca. Mi sa che il prossimo caso, sempre che i lettori vorranno che io continui, sarà affidato alle mani sue: “Prese le mani nelle mani come a controllarle. Sentì una pelle rialzata intorno a un’unghia, la portò alla bocca e si ostinò con i denti.
“Stare da sola. Bisogna funzionare” pensò mentre continuavail lavorio degli incisivi ai danni della base dell’unghia.” 

D - Napoli è, ancora una volta, sottofondo pulsante dei tuoi romanzi. I luoghi che descrivi sono reali, immaginari o realtà deformata?
R - I luoghi subiscono la soggettività narrativa, come tutto il resto. Mi capita di spostare un palazzo, una via, una piazza, un pezzo di mare in un altro luogo. Seguo un disegno urbano o paesaggistico a volte azzardato, ma cerco in tutti i modi di restituire la sincerità che sento e la passione nel vivere la terra mia. 

D - Quanto c’è di Patrizia Rinaldi in Blanca? E cosa trasmette Blanca a Patrizia Rinaldi?
R - Con Blanca mi sento al sicuro. Non perché lei viva un idillio con l’esistenza, per niente. I suoi giorni non sono pacifici, armoniosi, integri. Eppure ce la fa lo stesso. Cambia, si scompone, resiste.
Di me in lei ci sono di sicuro parti, ma preferisco sottrarmi alla lente dell’analisi, per non perdere il mistero di un rapporto felice con un personaggio che mi è caro. 

D - So che, nel frattempo, ti stai dedicando anche alla letteratura per la gioventù. Ci parli di quest’altra “faccia” della tua creazione narrativa?
R - Scrivo libri per ragazzi ormai da molti anni. Naturalmente la scrittura è una e una sola, non cambia se non per seguire i contesti narrativi e il rispetto per l’età dei lettori. Scrivere per i ragazzi non è affatto più semplice o più accomodante, anzi. Incontro più di mille ragazzi ogni anno: si fa un gran parlare dell’educazione alla lettura, la mia esperienza mi insegna che i ragazzi accolgono le storie che sentono vicine, che leggono se ben guidati dai docenti e che non vogliono prediche portatrici di messaggi omologati, di spiegazioni ostinate su ciò che devono o non devono fare.
Quando sto con i ragazzi, scrivendo o incontrandoli, mi sento al mio posto. Da loro imparo. Non hanno pregiudizi letterari modaioli e mi danno felicità anche negli ambienti più devastati, semplicemente. 

Ringraziamo Patrizia Rinaldi per le risposte che ci ha fornito e la mandiamo direttamente… nelle fauci del lupo! 

Bruno Elpis

http://www.i-libri.com/scrittori/intervista-patrizia-rinaldi/