Le interviste di Bruno Elpis
Intervista a Marilù Oliva, autrice de “Le sultane”
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- Scritto da Bruno Elpis
D - A beneficio di chi ti ha conosciuto soltanto con “Le sultane”, potresti parlarci della trilogia della Guerrera?
R – La Trilogia ruota attorno a Elisa Guerra, detta La Guerrera, giovane antieroina difettosa e sottoposta alle ferite del suo tempo: precariato, incertezza, un senso di “sballottamento” che la porta ad estremizzare la tendenza alla solitudine, anche se è in mezzo alla gente, e il connubio con i vizi, che qui diventano via di salvezza: il rum, il fumo, le delizie dei sensi. Poi aggiungici anche una passione smodata per il ballo salsero, consumato spesso in locali notturni che chiudono all’alba…
D – Da dove nasce la tua passione per la cultura latino-americana?
R – Dalle letture di Marquez, Borges, Infante, Vargas Llosa, e altri. Dai viaggi, dall’ascolto della loro musica, da un modo di sentire molto vicino a quelle popolazioni. Agli strati umili di quelle popolazioni, intendo: quelli che – in casi sporadici – hanno avuto il coraggio di unirsi e tentare le rivoluzioni.
D – Come declini la tua attività di scrittrice con quella d’insegnante? Il tuo lavoro didattico è fonte di spunti per l’attività creativa e letteraria?
R – Diciamo che, viceversa, cerco di trasmettere ai ragazzi l’amore per la lettura attraverso incontri con gli scrittori, laboratori, uscite di classe in biblioteca e libreria.
D – E veniamo a “Le sultane”. Nella dedica iniziale leggiamo che ti sei ispirata anche alla più celebre canzone dei Dire Straits (“… Mi ha raccontato la storia vera di Sultan of Swing, suggerendomi il titolo”). Siamo indiscreti se ti chiediamo di spiegarci questo retroscena?
R – Sono due i motivi di questa citazione. II titolo me l’ha involontariamente suggerito mia figlia, mentre suonava alla chitarra uno dei miei pezzi preferiti, “Sultans of swing”, e mi raccontava l’argomento di questa canzone dei Dire Straits: un gruppo jazz suona in un piccolo club di Londra solo per il piacere di suonare e non per i soldi e la fama. Ho trovato molto interessante questo omaggio e il messaggio di fondo. Inoltre il brano si gioca su un assolo finale ormai famoso in tutto il mondo, una parte veloce e ritmica che si contrappone alla parte iniziale. Questa struttura ricorda un po’ quella del mio romanzo: dopo un esordio descrittivo, il ritmo diventa velocissimo, a partire circa da pagina 50.
D – Le situazioni paradossali nelle quali incappano le tre “sultane” sono un efficace modo per rappresentare i problemi di un’età che spesso viene trascurata dalla narrativa, frequentemente incentrata su protagonisti giovani, bellissimi e dannati, che tanto ricalcano le immagini artificiali e patinate di programmi televisivi più o meno “trash”. Non sarà anche questo il motivo dell’ampio riscontro che il tuo romanzo ha ricevuto?
R – Spero di sì. Anche perché sono convinta che il lettore sia intelligente e sia stanco dei soliti manichini.
D – Le sultane, in fondo, sono le vicine anziane della porta accanto, immerse nei rapporti di amore e odio che nel condominio riproducono le tensioni della vita quotidiana e, in quel microcosmo, spesso esplodono… Quali spunti ti ha fornito la realtà di tutti i giorni?
R – Parecchi, tieni conto che vivo in un palazzo pieno di anziani. J
D – Anche i crimini non sono i soliti delitti perfetti, che scatenano i RIS e innescano super-indagini sofisticate e complicate. Anzi, per dirla tutta, i reati vengono perpetrati con strumenti impropri e artigianali: una padella con l’olio bollente, una specchiera…
R – Questo per dare un tocco di realismo. Come hanno dimostrato decenni di indagini psicologiche, approfondite a partire dal settore del profiling, il mondo del crimine è molto più banale di quanto ci immaginiamo. I serial killer non sono gli individui fascinosi che vediamo al cinema (penso all’irresistibile Hannibal Lecter), ma individui pieni di problemi, insicuri, frustrati. E spesso i delitti non vengono pianificati in maniera raffinata come ci propone il grande (e piccolo) schermo, ma vengono improvvisati. Per farti un esempio, in un fenomeno che è una grande piaga italiana (e non solo), il femminicidio, vengono utilizzati come arma del delitto anche utensili propri del mondo della donna: calze di nylon, padelle, mattarelli, coltelli da cucina, cinture, spilloni, forbici da cucito, perfino ferri da stiro.
D – Ma in fin dei conti, nelle tue intenzioni, nel romanzo dovevano prevalere gli aspetti umoristici o quelli drammatici?
R – Entrambi, in egual misura. Ragion per cui non ti so dire se questa sia più una tragedia o una commedia.
D - “La vecchiaia si sconta anche sopravvivendo” (frase tratta dal romanzo) è l’evoluzione de “La morte si sconta vivendo”? Alla fine Wilma, Mafalda e Nunzia possono appropriarsi del titolo della poesia di Ungaretti e declamare, senza colpo ferire, “Sono una creatura”?
R – Sì. E mi fa molto piacere che tu abbia colto lo spunto. Sei il primo che me lo chiede, aspettavo questa domanda da sei mesi. “La morte si sconta vivendo” è una frase fortissima – e bellissima – che ribalta la nostra concezione pessimista della morte, se vuoi con un pessimismo ancora più intenso, nel senso che Ungaretti ci dice, in sostanza, che la morte si sconta con le sofferenze della vita. Ecco, quello che ci suggeriscono le Sultane, invece, è che la morte non è poi la fine del mondo, come crede la nostra cultura. Molto più difficile invecchiare e abituarsi all’indifferenza…
Ringraziamo Marilù Oliva per la simpatia e la disponibilità con la quale ha risposto alle nostre domande.
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