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Le recensioni di Bruno Elpis

Medea. Voci di Christa Wolf

MedeaThe other side of Medea (una madre amorevole) 

E se Medea non fosse l’infanticida che mitologia e tragedia euripidea ci hanno consegnato?
La Wolf, in ambito artistico-letterario, compie la medesima operazione che Cartesio esperì  in filosofia. Come Cartesio - esercitando il dubbio iperbolico dello scetticismo metodologico – negò gli assunti da sempre ritenuti incontestabili per costruire un nuovo sistema di pensiero, così Christa Wolf nega la tradizione e ripropone una mutazione di Medea: non già la donna passionale e accecata dall’amore, che tradisce la patria, aiuta Giasone a impossessarsi del vello d’oro, lo segue a Corinto ove –  sentendosi respinta – follemente uccide i figli cha da lui ha avuto; bensì un essere pensante e positivo a partire dal nome (“Medea ossia colei che porta consiglio… guaritrice”), decisa ad andare sino in fondo per smascherare il delitto (“A Medea è toccato portare alla luce la verità sepolta che determina la nostra convivenza, e … noi non lo tollereremo”) sul quale il potere si basa (“Dovevo conoscere il segreto di quella regina”), carismatica  per i colchi approdati a Corinto e sfidante nei confronti del re Creonte e del suo apparato (“Lo dicono i corinzi, per loro una donna è selvaggia se fa di testa sua”), protettiva e materna verso i figli (“Erano spensierati, pieni di vita, quello che assomiglia a Giasone è più prestante di quello scuro, ricciuto, che però è più selvaggio e ribelle del fratello”) che vengono uccisi non da lei, ma dalla furia collettiva (“La scrittrice parte … dal presupposto che dal matriarcato non possano discendere pulsioni distruttive”). 

Medea

Il metodo di narrazione prescelto è quello delle sei “voci” (“una struttura a sguardi incrociati”) che si alternano in monologhi: Medea, Giasone, Agameda  (della Colchide, un tempo allieva di Medea), Acamante (primo astronomo del re Creonte), Leuco (secondo astronomo), Glauce (figlia di Creonte e Merope). 

La figura di Medea, nel racconto delle sei voci, trasmuta rispetto alla tradizione greca e viene completamente rifondata: la monarchia di Corinto nasconde un orrendo delitto (“a quello stretto cranio infantile, a quelle scapole sottili, a quella friabile colonna vertebrale”), che Medea penetra; questo atto di insubordinazione scatena la reazione del potere (“Pare tuttavia che il segreto sulle cui tracce lei si è messa sia così orribile che non sia possibile usare pubblicamente tali prove contro di lei”), che addensa su Medea le nubi del sospetto cittadino (“Il piano era geniale perché lasciava aperte tutte le possibilità. Medea sarebbe stata accusata di aver ucciso suo fratello Apsirto in Colchide…”). Quando poi gli eventi naturali flagellano i corinzi, il potere ne approfitta per scoccare il colpo finale e ostracizzare la donna. 

MedeaLa parte finale dell’opera è notevole per il clima tragico di tensione (“Si sarebbero liberate tutte le forze funeste che normalmente una comunità ordinata era in grado di tenere a bada”) intorno alla figura di una donna volitiva e tenace. Tutto è in crescendo:  dapprima il terremoto (“morti destinati a imputridire per settimane sotto le macerie della case”), poi la pestilenza, infine l’eclisse di luna che nelle credenze antiche era considerato funesto. Gli eventi richiedono sacrifici propiziatori (“Fra poco dovrà essere sacrificato un prigioniero ogni cento”) e vengono abilmente utilizzati contro Medea (“molti corinzi sostengono che si tira dietro la malattia”). In un clima misterico (“Presi il lauro che mi diedero da masticare ed esso ci trasportò nell’ebbrezza, sicché vedemmo Demetra che vagava esultante nella notte”), orgiastico (“la nostra danza che divenne più selvaggia, la danza del labirinto”) e sanguinario (“Turone… gli recidevano il sesso”), Medea diviene il capro espiatorio (“fu spinta attraverso la porta a sud, come si usa per il capro espiatorio, fuori dalla città”) e così a lei viene ascritto anche il delitto dei figli… 

MedeaQuesta originale rivisitazione del mito può essere interpretata sia alla luce del femminismo teorico dell’autrice (“la tendenza, soprattutto nei momenti di crisi, a caricare di segni negativi una determinata figura – spesso femminile, si chiami essa Cassandra o strega destinata al rogo – per destituirla di ogni autorevolezza”), sia in chiave biografica in relazione al complesso processo di riunificazione della ex DDR. In quest’ultima accezione il superamento dell’impostazione euripidea (“il testo di Euripide, teso ad affermare la superiorità della ratio greca sul tenebroso mondo dei barbari”) va letto anche a contrariis (ossia valutando la “incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide”). 

Bruno Elpis 

P.S.: Le citazioni critiche sono tratte dalla postfazione di Anna Chiarloni 

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:40314/