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Le recensioni di Bruno Elpis

American Psycho di Bret Easton Ellis (i-libri)

coverAmerican Psycho di Bret Easton Ellis è Patrick Bateman, un esponente della folta schiera degli yuppies (“Lavoro a Wall Street. Alla Pierce & Pierce”) che hanno caratterizzato la fauna di Manhattan (e non solo) nei gloriosi (!) anni ’80 e ’90. 

La critica sottointesa è spietata, tanto quanto i delitti  intercalati nelle pagine horror-splatter che hanno reso famoso il romanzo, a significare la follia conclamata di una vita costruita sul vuoto del  culto dell’esteriorità (“Le scarpe che calzo sono mocassini di coccodrillo A. Testoni”), della forma fisica (“La palestra alla quale sono iscritto, la Xclusive, è un circolo privato a quattro isolati dal mio appartamento nell’Upper West Side”) e della frenesia lavorativa pericolosamente sostenuta da alcol, droga (“Ci serve un po’ di turbopolvere boliviana”) e psicofarmaci (“Una sorta di baratro esistenziale mi si spalanca davanti mentre mi aggiro… dopo aver preso tre Halcion - che da quando il mio corpo si è assuefatto agli psicofarmaci non mi aiutano più a dormire ma almeno arginano la follia –“). 

Patrick Bateman & c. sono impegnati nella ricerca spasmodica di locali trendy (l’Harry’s, il Tunnel…) ove trascorrere serate/nottate trasgressive (“La corpoduro ci porta il conto”) e riversare fiumi di denaro (“La bottiglia di Champagne… la lasciamo sul tavolo, intatta”), nell’architettare incontri a sfondo sessuale con donne-oggetto sotto l’incubo dell’AIDS (“Mi basta mettere il piede qua dentro per aver paura di beccarmi il morbo”) nonostante il fidanzamento ufficiale con Evelyn (“La sua vicina di casa, ancora cosciente, è stata decapitata”). La vita di American Psycho è scandita dall’appuntamento mattutino quotidiano con un programma televisivo (“Il Patty Winters Show stamattina era incentrato sull’eventualità di un conflitto nucleare, e stando al parere degli esperti ci sono buone chance che scoppi entro il mese prossimo”) ed è ossessionata dalle scadenze per la riconsegna di videocassette preferibilmente porno (“Ho affittato… Omicidio a luci rosse… riaffitto subito”). 

La routine viene movimentata da omicidi che hanno tipicamente due categorie di vittime: i clochard disseminati lungo le vie di New York (“Fuori dal Pastels un altro barbone siede sul marciapiede, con un cartello…”) e le ragazze che vengono ingaggiate per triangoli sessuali sadici. Quando Pat decide di sterminare Paul Owen e ne nasconde il corpo nell’appartamento dello stesso finanziere, solo allora la serie dei delitti scatena la curiosità di un investigatore. Ma la vicenda sfuma nel dubbio instillato al lettore: quel delitto (così come gli altri?) è stato realmente commesso o è soltanto frutto della fantasia malata di American Psycho? 

Nel romanzo ci sono tutti gli oggetti cult e i simboli di un’epoca: gli abiti griffati, le VHS, i divi di Hollywood (“Tom Cruise, l’attore, che abita nell’attico”), le star musicali come i Genesis (“Sono un fanatico dei Genesis dall’uscita dell’album Duke, nel 1980”) e Witney Houston, il mito plutocratico di Donald Trump (“Non è Ivana Trump?, mi domanda…”) … sullo sfondo di un pauperismo (“Il brandello di un manifesto di Les Misérables svolazza sul marciapiede”) che viene sbeffeggiato a sottolineare lo scandalo dei contrasti sociali dell’età contemporanea. 

Le tonalità dell’ironia macabra (“Preferisco tenere separati i corpi degli uomini da quelli delle donne”) e il sospetto che l’anima del romanzo sia una feroce critica socio-culturale scongiurano l’effetto trash e assegnano all’opera lo status symbol di libro-icona di un’epoca malata. 

Bruno Elpis 

http://www.i-libri.com/libri/american-psycho/