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Le recensioni di Bruno Elpis

Romolo di Franco Forte e Guido Anselmi (i-libri)

coverRomolo di Franco Forte e Guido Anselmi giunge nelle librerie mentre sul grande schermo approda “Il primo re” di Matteo Rovere. 

A distanza di ben 2772 anni dalla fondazione di Roma, i fari della cultura letteraria e cinematografica sono dunque ancora puntati sulla figura leggendaria dei mitici gemelli Romolo e Remo: le loro radici affondano nel terreno di confine tra la mitologia e la storia; le loro origini sono indicate nei genitori naturali – la vestale Rea Silvia (“Sei la figlia di Numitore, una principessa albana!”) e Terazio, schiavo di Amulio, tiranno di alba Longa – e nei genitori adottivi: il pastore Faustolo e la moglie Acca Larenzia. La nascita dei gemelli è avvolta in un alone di mistero divino (vengono attribuiti alla paternità di  Marte, visto che quella dello schiavo è innominabile) e primordiale (vengono ritrovati da “una donna di una trentina d’anni, sporca e denutrita… Lupa”… “in una grotta qui vicino… Quella con la grossa pianta di fico, che chiamano il Lupercale”):
Credo siano stati nutriti da una lupa. Quando li ho trovati, l’animale li stava allattando”. 

Ed è proprio questo il grande merito del romanzo Romolo di Franco Forte e Guido Anselmi: quello di ricondurre le leggende a razionalità (così, la lupa non sarebbe un animale, ma una donna), quello di creare connessioni logiche (“E così li hai trovati attaccati alle rumae di una lupa… Allora questo lo chiameremo Romolo… E quest’altro Remo”), nel passato oscuro e lontanissimo, tribale e pastorale, dal quale emergono una città e una civiltà destinate a essere tanto grandi e diuturne. 

In questa chiave di ricostruzione storico-romanzesca, anche l’analisi e la fenomenologia del rapporto tra i due gemelli assegnano al fratricidio commesso da Romolo una valenza tragica che la mitologia nega o liquida frettolosamente: la dialettica tra Caino e Abele rivive in una fratellanza che ha molti momenti di vita comune (la formazione nella scuola di Gabi: “Le lezioni di Erasto presero infatti una direzione nuova: al posto delle interminabili esercitazioni di aritmetica e ortografia, il maestro iniziò a raccontare loro le gesta di antichi eroi. Romolo rimase incantato…”), interessi divergenti (“Romolo avvertiva con dispiacere crescente come la separazione dal fratello divenisse sempre più profonda”) e differenze caratteriali (dice Remo, a proposito di Eulalia: “Chi vuole una cosa, se la deve prendere. Così fanno gli uomini veri…”; gli risponde Romolo: “Nostro padre… vuole che diventiamo uomini diversi. Giusti e generosi, non solo prepotenti”), che gli stessi genitori adottivi ben conoscono:
Faustolo: “Ho visto come Remo ha conquistato il consenso di molti. E ho visto quale furia lo domina.”
Acca Larenzia: “Remo è debole, influenzabile, impulsivo.” 

Dopo l’incursione ad Alba Longa (“Quel cane di Amulio ha ucciso mio padre e mia madre… e tiene prigioniero mio fratello. È tempo che lo affronti”) i tempi sono maturi per l’evento che la storia attende (“Numitore diventerà re di Alba Longa, ma darà a me e a mio fratello la possibilità di fondare un’altra città…”). 

Il capitolo della fondazione (“Hai scelto dove tracciare il pomerium della nostra capitale?”) è tra i più avvincenti del romanzo: superstizione, mito e umanità s’intrecciano (“Stabiliamo un giorno in cui i gemelli scrutino il cielo. Colui che vedrà un numero maggiore di auspici favorevoli sarà il fondatore”), i gemelli hanno “lo sguardo verso il proprio templum in aere, l’area d’osservazione in cielo”, la tragedia del fratricidio è forse un passaggio necessario per partorire Roma, città eterna. 

La narrazione è intonata alla rudezza della cultura latina primigenia e all’essenzialità brutale di rapporti spesso basati sulla forza: riesce a cogliere con grande efficacia gli abbozzi delle istituzioni che faranno di Roma paradigma assoluto di regno, repubblica (“Sarete chiamati senatores, i più sapienti e rispettati fra tutti i romani”) e impero, e disegna l’embrione dell’efficienza militare (“Quasi quattrocento… un terzo armato di spada, ma gli altri possono essere letali anche solo con bastoni e pietre. Quanti sanno maneggiare una fionda?”) che sarà il motore della conquista del mondo allora conosciuto. 

Bruno Elpis 

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