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Le recensioni di Bruno Elpis

Il morbo di Haggard di Patrick MacGrath (i-libri)

coverIl morbo di Haggarddi Patrick MacGrath riecheggia Follia per l’ambientazione clinica, risulta affine a Grottesco per l’ambiguità del protagonista, anticipa La guardarobiera per il tema della persistenza e della trasmigrazione della passione (cliccate sui titoli dei romanzi per leggere i commenti alle altre opere di McGrath). 

Anche ne Il morbo di Haggard, Patrick MacGrathindulge alle descrizioni gotiche e ambienta la vicenda del medico Haggard in una villa (“Elgin cambiò tutto. Mi dette modo di agire”) che sembra costruita sul modello architettonico tanto caro a Lovecraft (“Rimasi a contemplare con crescente meraviglia i tetti dagli spioventi ripidi, i comignoli lunghi, le finestre alte e strette, a sesto acuto, con gli eleganti telai piombati”). 

In questo luogo si completa la storia di un amore transizionale (“Oh, James. Ormai ho capito che l’amore, l’amore romantico, adulto, è una sorta di appassionata devozione a un ideale”) che sposta l’oggetto del desiderio da Fanny, affascinante moglie di Ratcliff Vaughan, primario anatomopatologo dell’ospedale ove Haggard intraprende la propria carriera, a James Vaughan, il figlio di Fanny: un pilota di caccia (“Un giovane con l’uniforme della RAF, un sottotenente di prima nomina, con il distintivo di pilota: una figura minuta, dai lineamenti delicati, la testa china per il dolore”) al quale il medico, trasferitosi a Elgin dopo il fallimento del suo tirocinio in un ospedale londinese, racconta non senza difficoltà (“Nessun figlio può ascoltare con distacco il racconto delle infedeltà di sua madre”) il ricordo della donna amata. 

La figura dello sciancato e morfinomane Haggard è potente, tragica (“In quelle notti strane e urlanti… la prima , nascente sensazione… di una presenza dentro di me… la mia anima, il mio spirito”) e grottesca al tempo stesso (“Mi rivedo passare di corsa accanto agli Spitfire, una figura esile e zoppicante avvolta in una pelliccia nera che sgattaiola in una vasta distesa di ombre e di aerei”): nell’ostinazione di mantenere in vita la passione (“La certezza assoluta che lei era ancora viva e abitava il corpo di suo figlio… lei era tornata da me”), nell’ambizione medica che lo porta forse a vedere in James un caso clinico della sindrome di Fröhlich (“Ho notato una tendenza all’infantilismo degli organi sessuali, come pure una lieve convergenza degli arti inferiori alle ginocchia e un’impercettibile ginecomastia”), nella personificazione del dolore (“Il vecchio dolore, l’amico dolore. Il male, il morso del dolore: era sempre Spike che ricordava, non io…”). 

Lo scenario ossianico è ingigantito dall’atmosfera bellica e minacciosa delle prime battute della guerra contro la Germania nazista (“La Luftwaffe attaccava la Raf giorno e notte, in aria e al suolo…”). 

Lo stile di McGrath si riconferma unico per eleganza macabra e strategia di tensione narrativa. 

Bruno Elpis 

http://www.i-libri.com/libri/il-morbo-di-haggard/