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Le recensioni di Bruno Elpis

Affabulazione di Pier Paolo Pasolini (i-libri)

coverUna tragedia all’ombra di Sofocle 

In Affabulazione di Pier Paolo Pasolini l’ombra di Sofocle è non soltanto influente fonte d’ispirazione o radice culturale, ma anche  personaggio con il quale si misura un padre, anch’egli nell’epilogo ridotto a mendicante proprio come l’Edipo a Colono. 

Preannunciata da un sogno inquietante come nella miglior tradizione greca (“Ma perché, se in quel sogno si nascondeva Dio,/ne provo tanta vergogna?”), va in scena la tragedia dell’alterità (“Quel biondo terribile, non mio”) che si contrappone al desiderio d’identità (“Ma tu non sai che la più grande gioia dei padri/è vedere i figli uguali a loro?”) e incarna il diritto del figlio all’autonomia esistenziale (“Ma io sono giovane/e ho diritto alla mia ingenuità;/ad avere il mio conformismo di figlio ribelle!”). 

Alcuni passaggi sfidano la proibizione etica, affrontano l’interdizione sociale e si avventurano in sfere ritenute intangibili oltrepassando – per intercessione della madre - il tabù freudiano della scena primaria.


“Ed è così che mi troverà,
invece, e vedrà il mio sesso… la cui funzione, dunque,
sarà pura… senza utilità… come nelle masturbazioni
del ragazzo, appunto… quando il ragazzo si sente,
nel pugno, un sesso di padre, ma privo
del privilegio e del dovere di fecondare,
come un grande albero senza ombra.” 

In questo modo si consuma l’inversione dei ruoli genealogici (“Così davanti alla tua giovinezza,/piena di seme e di voglia di fecondare,/il padre sei tu./E io sono il bambino. L’ho capito adesso.”), agisce il detonatore del paradosso generazionale (“Sono dunque qui, ai piedi della tua giovinezza,/e ne interrogo, da impotente, la potenza./Ai piedi della tua giovinezza là dov’è più giovinezza:/quel biondo terribile,/e il tuo corpo, dalla cintola in giù”), opera l’empia Sfinge del mistero intimo (“È questo che non so. Come violi, quando violi/il tuo pudore – che forma ha la tua violazione…”). 

La conclusione (“Dovevo ben saperlo che il padre è androgeno”), che deriva dallo scambio dell’autorità parentale (“Non era il mio pudore, che doveva essere violato. Era passato a te lo scettro di padre, e solo tu potevi reggerlo nel pugno e brandirlo in segno di potere”) e dalla rotazione delle attribuzioni potestative (“Ci troviamo dunque di fronte a un rovesciamento di situazione/consistente in un’inversione dei ruoli,/del mostrare e del vedere, del dare e dell’avere…/del possedere e dell’essere posseduti…”), è un delitto incestuoso (“Uccidi, uccidi il bambino/che vuole vedere…”) anch’esso rovesciato. 

Infatti, se lo schema tragico è quello dell’inversione dei ruoli nella tracimazione dei complessi psicanalitici, il ribaltamento opera a tutto tondo e si riflette nella dinamica delittuosa: non più Edipo che uccide Laio, ma l’opposto del parricidio. Un reato altrettanto inconcepibile, non conosciuto dal vocabolario italiano se non nel neologismo impronunciabile di “figlicidio”, che ha un antecedente – simile nell’effetto, non certamente nell’eziologia - nell’infanticidio di Medea e che in Pasolini assume una portata epocale (“Ci sono delle epoche nel mondo/in cui i padri degenerano/e se uccidono i loro figli/compiono dei regicidi”) o addirittura di classe. Un orrore familiare che, nel privato, mantiene un unico punto fisso di riferimento: il suicidio della madre-Giocasta (“Non voglio più amare coloro che amo”)… 

“La sinossi del rapporto tra padre e figlio
con cui ho concluso il mio affabulare solitario
vale proprio per il presente reale;
e il futuro imprevedibile che mi ha armato la mano
è proprio questo, del decennio che viviamo.” 

Bruno Elpis 

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