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Le interviste di Bruno Elpis

Intervista ad Andrea Vitali

Intervista di Bruno Elpis per i-libriDa comasco quale sono, non posso non chiederti – come prima domanda – cosa significhi per te “il lago”. In senso personale e in senso letterario.

Il lago è innanzitutto casa, il luogo da cui parto con la consolazione che, a Dio piacendo, ritornerò. E' il luogo davanti al quale ho aperto gli occhi da bambino, abitando in una casa a picco sul lago, e con la compagnia del quale sono cresciuto, ho studiato, letto e giocato. Ed è anche parente, sorta di zio che magari non vai a trovare da mesi ma che sai, quando ne hai bisogno, che c'è e non ti chiuderà la porta in faccia.

 

E, in particolare, cosa significa vivere a Bellano? Molti poeti e scrittori (il pensiero va inevitabilmente a Leopardi) hanno un rapporto di odio-amore con il luogo di origine o vivono la strettezza dei confini del provincialismo. Tu, dalla vita di paese e di provincia, hai tratto spunti fondamentali per le tue opere. E il tuo atteggiamento è sicuramente benevolo …

 

A Bellano, il mio paese, ho trovato sin da giovane ottimi motiviper lasciare affondare le radici.La dimensione del microcosmo non mi ha mai disturbato anzi, ho sempre trovato dentro di essa dei sicuri punti di affidamento mentre la città, conosciuta e frequentata a causa degli studi, mi ha sempre disorientato, alimentando il desiderio del ritorno. Se a ciò si aggiunge che proprio all'interno di questa dimensione ho scovato il palcoscenico perfetto per le mie storie il conto è fatto, una ragione di più per continuare a guardare a questo luogo come uno tra i  migliori dove potevo nascere.

 

Eserciti ancora la professione di medico? Come è nata la tua ‘attività’ di scrittore? Come si conciliano due  attività così totalizzanti e impegnative fra di loro? 

 

La mia attività di scrittore è nata giovanissima ma come si può capire un conto è concepire un desiderio un altro è comprendere come. Gli anni più giovani si sono alimentati di questa aspirazione oltre che di infinite letture grazie alle quali ho imparato pian piano come raccontare una storia, come tenere legato il lettore alla pagina. Con la maturità la scoperta che il paese poteva essere non solo teatro delle storie ma che anche ne nascondeva e ne nasconde parecchie è stato il completamento della mia aspirazione. Devo dire che il mestiere di medico compenetra assai bene quello di scrittore poichè mi mette in contatto con la gente, mi espone alle chiacchiere dalle quali spesso nascono le storie. E non ci sono problemi particolari di sovrapposizione: ognuna delle due attività ha i suoi tempi ben precisi e, come dire ?, nessuna pesta i calli all'altra.

 

 

Quando si parla del ramo lecchese del Lario, si pensa ai “Promessi sposi”. A quali autori classici ti senti legato? A chi ti ispiri?

 

I Promessi certamente, ma se penso a grandi autori non posso fare a meno di riferirmi ai grandi autori siciliani, De Roberto, Pirandello, Sciascia, Consolo, il nostro Camilleri. Mi sento molto legato a questi per la capacità che hanno avuto e hanno, raccontando, di farmi conoscere la loro terra, rendendola universale.

 

Passando alla letteratura contemporanea, spesso vieni accostato a Piero Chiara (io penso più per le ambientazioni ‘lacustri’ dei romanzi che per affinità narrativa). Come vivi questo paragone? A volte l’accostamento viene fatto anche con Mario Soldati e ho letto che tu ami fare riferimento ad Arpino. Quali sono le letture preferite di Andrea Vitali nell’ambito della letteratura contemporanea?

 

Amo molti scrittori italiani, secondo me la nostra narrativa è di alto livello checché se ne dica. Quando sento parlare di morte del romanzo mi vien da sorridere. Forse ci vorrebbe un poco più di curiosità in libreria, così facendo si farebbero delle scoperte notevoli.

 

Dopo molti successi editoriali e riconoscimenti letterari, qual è il tuo ricordo del primo successo?

 

Non amo parlare del successo, il successo non mi riguarda, se c'è deve sempre arrivare con il libro prossimo venturo. Il passato è tale. E' il futuro che deve sempre dare qualcosa, il lavoro a venire che deve confermare quanto di buono hai fatto in precedenza.

 

Che consiglio ti senti di dare a un autore emergente o a quanti vogliano dedicarsi seriamente all’arte dello scrivere?

 

Leggere fondamentalmente. Tener fede all'idea se se la sentono forte e pura. Non scoraggiarsi e nemmeno montarsi la testa. Scrivere è un lavoro, e forse tra i più artigianali che esista al mondo.

 

La critica ti acclama ed esprime giudizi uniformemente favorevoli alle tue opere. Qual è il commento che più ti ha colpito o che hai particolarmente gradito?

 

Quello che mi ha rivolto una signora durante una presentazione quando, per comunicarmi che i miei libri la divertivano mi ha detto che sono proprio uno scrittore ridicolo.

 

Ripercorrendo alcune tappe della tua notevole produzione letteraria, “Un amore di zitella” ha per protagonista un’impiegata comunale. Ho letto che i tuoi genitori erano impiegati comunali. Quanta autobiografia c’è nei tuoi romanzi?

 

Della mia personale pochissima. C'è la biografia degli ambienti che ho conosciuto tra i quali, appunto, quello degli uffici comunali ai tempi in cui mio padre era impiegato.

 

Una finestra vista lago” rappresenta una vera e propria saga di un cinquantennio di storia italiana. Da dove nasce il gusto per la retrospettiva storica?

 

Dall'amore verso il novecento, nato ai tempi del liceo, secolo che mi ha sempre affascinato per la storia, il costume, la musica, la narrativa. Secolo turbolento nel corso del quale sono cambiate molte cose e che quindi si presta molto all'invenzione narrativa.

 

La signorina Tecla Manzi”, come altri tuoi romanzi, è collocato negli anni del fascismo. Per quale motivo hai situato molte delle tue storie in quest’epoca?

 

Così, tanto per retrodatare le storie, operazione che a me personalmente dà l'idea di aumentare l'aurea romanzesca. Un tempo lontano, quasi da favola, dove oggi non è quasi più possibile riconoscersi e che diventa un fertile territorio per la fantasia, anche di chi legge.

 

“La figlia del Podestà”, altro romanzo che si svolge nel regime, è stato insignito del Premio Bancarella nel 2006. Come vivi l’atmosfera dei concorsi letterari?

 

Come se andassi allo stadio. Covo sempre la speranza di vincere e la certezza di perdere, così finisce zero a zero, un punto a testa e la classifica comunque si muove sempre un po'.

 

Ne “La figlia del podestà” emerge chiaramente il tuo amore per le situazioni un po’ paradossali e, a volte, comiche. Senti a te più vicina la preghiera di Tommaso Moro, ‘Signore dammi il senso del ridicolo’, o la poetica pirandelliana dell’umorismo?

 

Direi Signore dammi il senso dell'ironia e dell'autoironia e in questo credo di essere stato accontentato.

 

“Il segreto di Ortelia” è la riscrittura di uno dei racconti contenuti ne “L’aria del lago”. Come si caratterizza la scrittura di un racconto rispetto a  quella di un romanzo? Da dove nasce l’esigenza di trasformare un racconto in romanzo? 

 

Il Segreto nasceva già come romanzo, si è trattato di riverniciarlo un po'. Circa la differente natura tra racconto e romanzo è già insita in quello che devi raccontare. Ma la via è piena di sorprese poiché spesso capita che, per sviluppi improvvisi, quello che tu pensavi un semplice racconto offre spunti per andare oltre e così pian piano diventa romanzo.

 

Per rimanere in tema, “Dopo lunga e penosa malattia” è la riscrittura del secondo dei quattro racconti inclusi ne “L’aria del lago”. Nella tua produzione è stato considerato un romanzo ‘sui generis’ in quanto tinto di giallo. Come ti rapporti ai generi letterari? Ti identifichi con uno in particolare?

 

Mi piace essere un raccontatore di storie, come diceva, e con lui chissà quanti altri, Giovanni Arpino.

 

In “Pianoforte vendesi” è palpabile un senso di struggente malinconia … E’ quasi una fiaba! Hai mai scritto per i bambini o per i ragazzi?

 

Certo, sempre, quando arriva Natale e sento, anche se fingo di niente, la magia di quei giorni. Allora ho proprio bisogno di raccontare e scrivere una favoletta di natale, con babbo natale protagonista, poiché è lui, per me, l'icona natalizia.

 

Ne “La leggenda del morto contento” ho colto un atteggiamento di pacata sfiducia nei confronti della giustizia umana. Quanto è allegorica la rappresentazione, in un’altra epoca storica, di un fatto giudiziario come quello narrato in questo romanzo?

 

E' involontariamente allegorica. Mi sono accorto dopo, a romanzo uscito e grazie ad alcune osservazione di terzi, che c'erano alcuni punti in comune con certe situazioni attuali. In sostanza non c'era un'intenzione, ma si vede che le storie si ripetono sempre uguali.

 

Non ho ancora letto “Zia Antonia sapeva di menta”, ma voglio chiederti: qual è il tuo atteggiamento nei confronti dell’ultima opera rispetto alle precedenti?

Vuoi formulare ‘uno slogan’ per questo romanzo, che mi accingo a leggere in formato e-book? 

 

L'ultimo nato mette sempre un poco di tenerezza. E poi la zia Antonia mi ha tirato fuori per un po' dagli anni trenta e quaranta, dandomi il modo di esplorare altre storie, ancora assolutamente inedite, di quel periodo e che costituiranno il grosso del lavoro a venire.

 

Andrea, sono solito concludere le mie interviste con “la domanda a piacere”, che l’intervistato si pone per rispondersi. Puoi scegliere un tema qualsiasi …

 

x.Facciamo il gioco della torre: se dovessi buttar giù lo scrittore o il medico quale sceglieresti

r. Mi butterei io e risolverei la questione.

 

Ringrazio Andrea Vitali per la simpatia e la disponibilità che ha dimostrato nei contatti che hanno consentito quest’intervista. Avrei voluto rivolgergli tante altre domande, perché i suoi libri sono davvero una miniera. Con il desiderio di incontrarlo nuovamente, magari per parlare – tra un libro e l’altro - del “nostro” lago, saluto Andrea anche a nome di tutti i lettori di www.i-libri.com