Da Poe a De Chirico, da Calvino a Magritte: l'enigma in arte e in letteratura
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- Categoria: Edgar Allan Poe
- Scritto da Bruno Elpis
Ho riletto “Lo scarabeo d’oro” di Poe, grazie alla recente iniziativa di www.malgradopoi.it che ne ha pubblicato il testo. Questo racconto ha sicuramente ispirato Stevenson per il suo capolavoro, “L’isola del tesoro”.
Ma io ho preferito riflettere sullo strumento grazie al quale i tre personaggi della storia di Poe (Legrand, il suo amico narratore e il servo di colore Jupiter) mettono le mani su un tesoro di straordinario valore.
Alludo al crittogramma, abilmente risolto da Legrand con intuizione, logica e capacità induttive e deduttive degne di Dupin.
Appropriandomi di tale metodo logico-induttivo, parto da una definizione per svolgere il mio ragionamento:
“La parola crittografia deriva dall'unione di due parole greche: kryptós che significa ‘nascosto’, e graphía che significa ‘scrittura’. La crittografia tratta delle ‘scritture nascoste’, ovvero dei metodi per rendere un messaggio ‘offuscato’ in modo da non essere comprensibile a persone non autorizzate a leggerlo. Un tale messaggio si chiama comunemente crittogramma.”
In un altro commento ho cercato di illustrare come la struttura enigmistica utilizzata da Poe rappresenti l’archetipo di un intero e ricco filone di letteratura che assume – come elemento narrativo – un gioco enigmistico: si chiami rebus, indovinello, anagramma, acronimo o sciarada.
Ma l’enigma, nell’espressione artistica, non è soltanto uno strumento: costituisce anche un metodo.
In letteratura si pensi al cosiddetto “periodo combinatorio” di Italo Calvino, in romanzi come “Le citta invisibili” o “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. In questa fase, l’autore sperimenta una nuova forma di letteratura, che assume le caratteristiche di un artificio e di un gioco combinatorio. La sperimentazione più vistosa e appariscente di questa poetica la si ritrova, forse, ne “Il castello dei destini incrociati”. In quest’opera il percorso narrativo è affidato alla combinazione delle carte di un mazzo di tarocchi, attraverso le quali i viandanti comunicano. I tarocchi sono utilizzati come sistema di segni, come un vero e proprio linguaggio: ogni figura di una carta ha un senso polivalente, esattamente come la parola ...
Perfino in filosofia l’enigma viene utilizzato come metodo. Un esempio per tutti? L’enigma o paradosso di Russell, conosciuto anche nelle varianti del paradosso del bibliotecario e/o del barbiere.
Ma, a parer mio, è l’arte figurativa del primo novecento (gli anni della psicanalisi di Freud!) il movimento culturale che rende l’enigma il protagonista assoluto di molti capolavori.
L’enigma è un tema centrale nella pittura metafisica di Giorgio De Chirico, che così scrive circa la genesi dell’opera “L'enigma di un pomeriggio d'autunno” del 1909-1910:
« … Dirò ora come ho avuto la rivelazione di un quadro … L'enigma di un pomeriggio d'autunno. Durante un chiaro pomeriggio d'autunno ero seduto su una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Non era certo la prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. La natura intera, fino al marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. In mezzo alla piazza si leva una statua che rappresenta Dante avvolto in un lungo mantello, che stringe la sua opera contro il suo corpo e inclina verso terra la testa pensosa coronata d'alloro. La statua è in marmo bianco, ma il tempo gli ha dato una tinta grigia, molto piacevole a vedersi. Il sole autunnale, tiepido e senza amore illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ed ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile. Perciò mi piace chiamare enigma anche l'opera che ne deriva. »
Nel 1911, De Chirico ne propone un altro: “L’enigma dell’ora”.
“Il titolo del quadro nasce probabilmente dalla volontà di De Chirico di rappresentare un orologio fermo. Appare tuttavia logico che, su un quadro, un orologio non potrà mai camminare. E così, guardando la raffigurazione di un orologio, non sapremo mai se funziona o non funziona. Tuttavia, è proprio la fermezza e l’immobilità di tutta l’immagine a suggerirci che anche l’orologio è fermo, anche se non lo sapremo mai. O forse esso è l’unica cosa che continua a muoversi, segnando un tempo senza senso, perché non produce più modificazioni nel corso delle cose.”
Nel 1914 seguirà “L’enigma di un giorno”:
Ma, in fondo, non soltanto i quadri che nel titolo recano la parola “enigma” celebrano il mistero. Anche “Le muse inquietanti” o “Ettore e Andromaca” rappresentano l’arcano che si nasconde dietro le geometrie e le profondità del tempo.
Tutto sembra nascere dall’esigenza di rendere visibile l’invisibile, attraverso la rappresentazione di luoghi e di miti.
Ma c’è un altro grande pittore che fa dell’enigma la propria poetica artistica: René Magritte.
Nelle sue opere c’è sempre qualcosa d’impenetrabile, qualcosa che pare trascendere l'ordine delle cose e sfugge ad ogni interpretazione perché rappresenta l'insolito e l'irrazionale. «Senza mistero nulla davvero esiste»: in questa espressione iperbolica del maestro belga sta la consapevolezza che il mistero permea il reale. E la convinzione che la natura sia la manifestazione di quest’essenza misteriosa.
Dopo questa divagazione, una domanda rimbomba nella testa: “Quid amabo nisi quod aenigma est?” (Cosa amerò se non l’enigma?) E’ il quesito che si pone, rapinando l’espressione al grande Nietzsche, anche …
… Bruno Elpis
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